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mercoledì 20 maggio 2015

Sboritelling


Sono queste le storie che farebbero la gioia di qualsiasi storyteller.
Alzi la mano chi l'aveva immaginato così bene: neanche un cinquestellato con la sua pizza proletaria, o un qualsiasi Alfano col black blocker testimonial della Rolex, neanche un modesto Salvini (per dire) col suo abbaiare ai rom con la Mercedes.
Dai, se l'avessi scritto per la Settimana Corta sarebbe stato fantascienza.
Riepiloghiamo, con le stringhe (thread) come i social media cosi (manager, editor, content writer) che sanno come si fa:
- protagonista: un super manager di un'azienda (quasi) pubblica
- la suddetta azienda è delle Ferrovie - ossia quei carrozzoni che evocano Prime Repubbliche e lingotti nel pouf a fronte di pendolari stretti come acciughe in container maleodoranti per gran parte dell'anno
- le ferrovie in questione sono le Ferrovie Nord (quindi neanche Satana-Trenitalia, che prima o poi ti ci rassegni, se no finisce che dai fuoco a un treno)
- contesto: la crisi si percepisce così tanto che persino Marchionne è passato dal cachemire al cotone pettinato (ma forse è l'estate)
- il suddetto super manager usa la carta aziendale come se non ci fosse limite al peggio: ci paga persino le scommesse sportive (che tu dici: ma lo beccano! Appunto)
- l'espressione "pagata con i soldi dei pendolari lombardi" è una caciarata da pentastellati ma rende l'idea, no?
- eppure, è già straricco: possiede così tanta roba che sulla libreria i Malavoglia pigliano fuoco per autocombustione e Paperone si suicida con tutti i Bassotti
- ha sedicenti società poco chiare a Londra che fanno bisiness non si sa come (e qui già ti vedi l'Ispettore Ginko guardare Montalbano e scuotere la testa: senti, basta, abbiamo chiuso, molliamo tutto e apriamo una bocciofila a Poasco)
- come non bastasse questo, ci ha due figli che gli mangiano un patrimonio al mese: uno di questi posta su facebook orologi da milioni e persino un selfie con una testa del Duce
- aspetta, ferma un attimo: del Duce! Cazzo, questo ha in casa una testa di Duce! E si fa anche il selfie!
- ma attenzione, non finisce qui: il Nostro, visti i danni che gli fanno i figli, cosa fa? Si pente! Chiede il controllo sulle spese e, occhio la svolta alla Scorsese, comincia a restituire qualcosina...
- ma la chicca, il tocco di classe che solo quel gran figlio di puttana che è il Destino può tirare fuori, è il riconoscimento (Benedizione Apostolica) che gli concede persino papa Francesco (Francesco! Dai, quello che ci piace! Quello della "fine del mondo", della povertà, della Chiesa in strada, la simpatia nell'accento e il telefonino sempre pronto per una parola di conforto!), finito su facebook grazie al figlio sborone:


- pensate che sia finita? No, no. Ci mancherebbe che tale figlio, stante la situazione, abbia anche un incarico pubblico...
- ed eccolo, con le parole de L'Espresso (da cui ho tratto ispirazione anche per il resto), con cui chiudo, lasciandovi nella meraviglia:  
L'informazione arriva dalla sua “scheda per la trasparenza” pubblicata sul sito web del Comune di Milano. Già, perché il figlio del manager ed ex assessore di Forza Italia Norberto Achille ha anche un incarico pubblico: siede nel collegio dei revisori della Fondazione Milano , l'ente che coordina l'attività culturale ed educativa delle scuole civiche di musica, cinema e teatro. È stato nominato il primo marzo del 2012 e lì resterà fino all'aprile del 2016, percependo un gettone di 41 euro a presenza e un fisso di 5mila euro.

giovedì 9 ottobre 2014

Storie del Numero Due: L'anatra volante e il drago


Un giorno l'anatra volante stava passeggiando e sente che la terra si muove.
Però non è che si muove, è che c'è un drago sotto, no?
Un drago che non riesce più a muoversi, perché è un drago d'acqua, e nella sabbia non ci riuscEva.

- Riusciva...

Sì. E con le zampe fa BAM! e trema tutto...
Allora l'anatra volante dice: "Oh! La terra si muove! Cosa ci sarà qua sotto? Proviamo a scavare...".
E allora scava e scava ma non trova niente.
Perché il drago è dall'altra parte.
Ma poi scava ancora e vede che c'è il drago.
E il drago dice: Mhrrr Grrr Brrhg.
E lei: "Ah, vuoi uscire? Allora ti aiuto io".
Così l'anatra volante scava e scava finché il drago non esce.
E vede che è un drago nero.

Poi gli monta in groppa - perché è un drago che non aveva le spine - e gli mette il guinzaglio al collo. E una sella. Come Sdentato.
E vanno.

- Via, verso nuove avventure...

Eh ma il drago non riesce a volare. Perché le ali sono troppo pesanti...

- Era rimasta della sabbia?

Eh, sì, allora l'anatra volante fa un buco nell'ala, la svuota butta via la sabbia e la cuce di nuovo, poi... così le ali sono leggere e può volare. In alto.

E allora incontrano tutti i draghi neri, che lo cercavano. E allora l'anatra volante gli dice: "Ciao, drago nero! Sei arrivato!".
E il drago gli fa

(alza il braccio come un'ala pesante e ride)

Mrg Mrg Mrg
Saluta.

Questa storia si intitola "L'anatra volante e il drago nero".

mercoledì 1 ottobre 2014

Storie del Numero Due: la faccia del leone, dopo.


C'è una zebra che sta brucando tranquillamente. E c'è un toro lì vicino, che la vede e la vuole mangiare...

- Ma i tori non mangiano l'erba?
- Eh sì, però ha un ciuffo d'erba attaccato alla coda, allora...
- Ah...

Ricominciamo. Facciamo che era un leone.
Allora la papera volante, l'aquila e... c'è anche un falco, fanno... guarda!

(Due manine che fanno le ali e si tuffano in picchiata sul marciapiede)

Vanno fortissimo! E guarda cosa fa l'aquila: si toglie una piuma, che è di ferro, e la butta sulla testa del leone!
E poi arriva il falco che... guarda!

(Due manine che fanno le ali e si tuffano in picchiata sul marciapiede)

E il leone scappa, che ha paura del falco. E poi arriva la papera volante che si tuffa nello stagno e poi viene fuori e sputa tutta l'acqua in faccia al leone!
Pensa che faccia, il leone!

Così la zebra è salva.

lunedì 17 febbraio 2014

Storie del Numero Due: The Flyer Duck Commando


C'è un castello. Dentro c'è la civetta che è prigioniera.
C'è una ragnatela fatta di corde fortissime.
E allora la papera volante vola e, con il suo alluce tagliente

??

taglia le corde. Perché lei ha un artiglio fortissimo. Poi mentre è lì vede che c'è anche l'aquila.
C'è una gabbia, legata a una corda, che è legata al soffitto.
E c'è anche la coccinella. Allora la papera volante pensa che deve salvare le sue amiche.

Allora fa pianissimo, che c'è silenzio. Così nessuna gente del castello la sente.
E va dalla civetta.
La civetta si alza in volo e con le ali tzac! taglia la corda, la gabbia cade, e si rompe.
Così l'aquila è libera.
Poi libera anche la coccinella, che si alza in volo con le sue elitre. E dice: grazie.

E allora vanno via dal castello, e la gente del castello non le trova più.
Ti è piaciuta?

martedì 4 febbraio 2014

Storie del Numero Due: A gothic duck tale - il ritorno della papera volante


Posso raccontarti una storia? C'era una volta la papera volante...

(applausi)

...che apre le ali e vola. A un certo punto muore. E un lampo la colpisce e muore.
Perché non ha visto i lampi.
Allora passa di lì un uomo. Un signore che la seppellisce. Fa una tomba... mette una pietra e fa il disegno di una papera che vola sopra.
Perché lei era al cimitero.

??

Lei era andata al cimitero. Per vedere se incontrava altri animali. Una coccinella, un ragno, un topo, una zebra...
Ma morti. Lei prende la pala e li vuole tirare fuori.
Perché per lei è facile farli vivere, poi.





mercoledì 15 gennaio 2014

Storie (della buonanotte) del Numero Due: Il carro armato blu


C'erano dei soldatini che dovevano passare su un ponte. Sotto il ponte, c'era il fiume con i coccodrilli.
E si erano portati anche il carro armato.
Un bel giorno il carro armato si rompe, e non riescono più ad aggiustarlo.
Così lo danno a un'altra squadra di soldatini. Cattivissimi.
E invece loro vanno in un negozio dove vendono i carri armati e comprano tre biglietti. Anzi quindici.
Uno di loro però rimane senza biglietto. Poi il cassiere ne stampa uno anche per lui, così possono comprare un carro armato tutto nuovo.
E quando li sconfiggono,

- ??

quelli con la maglia blu. Perché i buoni sono quelli con la maglia azzurra, invece quelli cattivissimi hanno la maglia blu.
E sai chi vince?
Quelli con la maglia azzurra.

- E il carro armato rotto, che fine ha fatto?

Quelli con la maglia blu hanno provato a farlo diventare cattivo. Ma lui, niente.

giovedì 7 gennaio 2010

Trentarighe Sete: lo ze vince la pubblicazione


Lo ze ha vinto il Trentarighe di Gennaio 2010, rivista Fernandel.
Potete leggere Il ciclo dell'acqua qui.
Gli altri racconti pubblicati sul forum, qui.

giovedì 3 dicembre 2009

Un pezzo alla volta


Sempre Trentarighe dicembre, tema demolizioni, scritto e poi non inviato. Leggete i (bravi) vincitori qui.

Un pezzo alla volta

Del mio corpo mi è rimasta la mano destra, dio, e credo che tu l’abbia fatto apposta. Sapevi che ti avrei scritto, ora lo so.
Quando hai cominciato a farmi a pezzi, pensavo ancora che prima o poi ti saresti fermato, che t’avrei persuaso con le mie preghiere. Pensavo che non era destino, e invece.
M’hai tagliato le gambe per ritorsione, vero? Il mio talento nella corsa. Le suore a Mogadiscio dicevano che sarei andato alle Olimpiadi. Ma questo era prima della guerra. E invece le gambe le ho usate per fuggire, venti mesi dentro e fuori dall’Egitto, poi Algeria, Marocco, Libia. Mi hanno salvato dalla polizia, a Tripoli, tre mesi a mangiare dalla spazzatura il riso piccante dei turisti. Adesso, a che mi servono.
Poi m’hai spappolato fegato e reni, col calcio del fucile. Tre giorni di mare senz’acqua, pensavo di impazzire, e mi sono alzato per chiedere da bere. Due volte stupido: si beve quando te lo dicono loro, e mai alzarsi: se ci ribaltiamo siamo tutti morti. A Malta, ho lasciato il cuore. Ci arriviamo che mi sento già mezzo cadavere. Vedo la costa là in fondo, ma gente in divisa ci abborda. Non ci vogliono, via, puntiamo l’Italia. Il giorno dopo cominciamo a buttare in acqua i morti.
Ieri alla fine ho fatto il colloquio, in italiano. Nome, cognome, maestro elementare. Famiglia l’avevo, ma non so se sono vivi e dove. No, i documenti me li hanno tolti. E quelli no, non li conosco. La tariffa era cinquemila dollari.
Sul poliziotto, là qualche centimetro sotto il mento, ho lasciato occhi e orecchie, mentre la bocca chiedeva perché non posso restare.
La spina dorsale s’era già fatta dieci mesi di campo. E ora il braccio che m’afferra per riportarmi in Libia, neanche più questo è mio. Non lo voglio più. Ormai non esisto più, sono un niente intorno al buco del culo.

Cose

Per Trentarighe dicembre, Fernandel. Tema: demolizioni.


Cose

Non l’avevo mai visto, il pompiere che trovai davanti a casa mia. Doveva essere arrivato da poco. Barba lunga, occhi segnati. Somigliava a un me stesso più grasso e più vecchio.
- Mi aiuta? - chiesi, facendo cenno al voluminoso involto di borse di tela e sacchi di juta.
Fece sì col capo, e mi guidò rapido sulle macerie.
- Sei sicuro di volerlo fare?
Lo fissai feroce sulla nuca, reprimendo un moto di stizza.
- Guardi, ci metto due minuti…
- No, non è questo – e si fermò in cima al cumulo, si alzò il casco sugli occhi, evitando il mio sguardo. Poi scosse le spalle.
- Sono solo cose.
Aprii la bocca. Cose? Sono le mie cose! avrei detto, ma il fiato mi si strozzò in gola. E lui era già sceso verso il cratere che era stato il salotto.
Era cintato, tenne sollevato per me il nastro. Non fui in grado di apprezzare la gentilezza. Buttai rabbiosamente nelle sacche i vestiti, qualche quadro, una lampada e la borsa dei medicinali; tutta roba che avevo ammonticchiato in un angolo riparato, la prima volta. Guardai il resto con una stretta al petto: la credenza che profumava ancora di biscotti, l’orologio orribile e bellissimo fatto dal nonno con gli scarti d’officina, i fiori che rivestivano il divano –da bambino ci passavo sopra i polpastrelli, fantasticando.
- E i nostri morti, cosa sono. Cose anche quelle? - sibilai aspro, alzando le borse e la testa. Era un’assurdità, chiaro, ma volevo colpirlo, e sotto la cintura.
Si strinse di nuovo nelle spalle, risalendo e ridiscendendo leggero al mio fianco.
- Certo. Sono cose, anche quelle.
Mi inchiodai là dov’ero, esterrefatto. Lui mi guardò negli occhi.
- Sono corpi, solo corpi – e fece un gesto vago - Non c’è più nessuno, là sotto.
E se ne andò, diretto a un’altra casa, il casco giallo nella nebbia. Il suo compito era finito.

martedì 10 novembre 2009

Mio nonno si chiamava come me

Da Trentarighe novembre. Tema: Crisi. In foto, James Mason che, secondo me, ha qualche lontana somiglianza con il nonno di cui porto il nome.


Mio nonno si chiamava come me

Mio nonno aveva la licenza elementare. Da ragazzo era andato garzone da uno che faceva valvole per le radio, ed era diventato bravo. Capofficina, in tuta dalla mattina alla sera - il vestito buono la domenica per andare a messa, e poi a ballare.
Quando conobbe mia nonna pensava già a mettersi in proprio. Fu il suo padrone a incoraggiarlo: sei bravo, onesto, mica ti puoi sbagliare. Così si fece prestare i soldi e aprì un’officina che faceva parti per transistor, componentistica di precisione: si era fatto costruire una macchina disegnata da lui, che tagliava i pezzi come nessun’altra. Venivano dall’America a vederla.
Quando si sposarono, mia nonna faceva la modista per le signore bene. Si offrì di pagare casa e mobili a metà. Nonno tentennò, poi comprese: avrebbe saldato i debiti e ne sarebbe avanzato per l’avvenire.
Lavorava fino alle otto di sera, era onesto e aveva idee chiare. Ogni anno con quello che guadagnava ingrandiva l’officina e ammodernava le macchine. Pagava puntuale lo stipendio ai suoi dipendenti, né tanto né poco – quello che permetteva loro di fare quello che aveva fatto lui.
Ogni tanto, dopo cena, andava al caffè. La domenica portava mia nonna all’Opera. Cantava anche in una corale, con una bella voce tenorile. Fece studiare le figlie. Comprò il frigorifero e il televisore. Portò la famiglia in vacanza. Venne anche il momento in cui riuscì a comprare una casa al mare.
Era un uomo che sapeva far funzionare la vita come uno dei suoi magnifici transistor, ogni pezzo tagliato meglio di quello prima. Vide guerra e miracoli, pane duro e carne in tavola, biancoenero e colore. Non so quali domande si fece, quali risposte si diede. Il suo sguardo limipido, nelle foto, non rivela nulla.
Quello che mi fa incazzare è che per un uomo come lui, domani, non ci sarà posto.

Grand Theft Auto for Real

Visto che sono rimasto in arretrato con le sciorstoriez, ecco quella per Trentarighe ottobre. Tema: Animatore.


Grand Theft Auto for Real

Torsten dall’auto rubata nemmeno era riuscito a scendere. Il primo sparo lo aveva fatto sussultare così forte che si era morso a sangue la lingua, e per poco non si spezzava la mano contro la portiera. Teneva la testa contro lo sterzo, le ginocchia al petto impedite dal volante, mentre i finestrini esplodevano e grandinavano i colpi, schianti di sotto e sopra schiaffi di schegge. Ogni centimetro di muscoli tendini e cartilagini impegnato a sottrarre la carne ai proiettili –piccolo, più piccolo, invisibile, intoccabile. Fino a che un botto assordante sollevò tutto e fu un silenzio irreale, prima che la carcassa ricadesse sul suo metallo.
Pazzesco, solo quello gli faceva male, nella testa. Gnic gnic gnic. Non le urla, l’asfalto, il coltello davanti all’occhio. Non Becker che gli gnignava in faccia: “Ti sei pisciato addosso, cazzone!”. Non il puttan tour strafatti di coca, la caccia alla nera. Non gli stracci col vetro dentro dei Gladiatori nell’arena. Non il gioco del dentista, come Il Maratoneta. Non il manganello Svedese faccia d’angelo e culo da femmina. Quando fai questo mestiere e vuoi sistemarti, vuoi tanti soldi che parti e non torni più, che i documenti te li cancellano e neanche tua madre sa più chi sei, non te ne frega niente. Sopravvivi, dimentichi. Gnic gnic gnic.
Becker l’ha fatto. Becker c’è riuscito. Becker è pure tornato e ha messo su l’impresa. Cerca lepri. Gente che gli faccia i festini con le emozioni forti, per gente che ha i gusti particolari. Becker ha i nastri, li tiene tutti per le palle. Se muori, Becker li butta fuori e si tiene i soldi. Fine dei giochi. Le lepri sono preziose. Le lepri costano.
Ora che si lava il sangue con le dita in bocca, Torsten pensa che con tutti quei soldi minimo si compra una camicia come Steven Seagal nei film americani.

venerdì 30 ottobre 2009

Trentarighe amarcord

Mentre penso a come mettere in piedi un progetto che potrebbe rivelarsi interessante, mi è tornato alla mente il testo con cui eoni fa vinsi un'edizione di Trentarighe. Era ispirato alla tragedia della Thyssen Krupp. Questo.

Hai figli, te?

Moncalieri, ore quattro del mattino.
- Cossu! Ma hai figli, te?
- Due. Uno va scuola, l’altra ne ha 4.
- Eh. La mia grande si sposa.
- Oh, bella!
- Sa l’è ca’l g’ha…
- L’è la valvola. Han detto che l’han messa nuova il mes pasà.
- Nuova… Gh’avrà trint’an c’la roba chi!
- E dov’è che andate?
- Su a Moncalvo. Mi han fatto milleduecento euro. Però si mangia bene. E l’ha un bel giardin.
- Eh. Io sono in ballo con mia mamma.
- Ma porca… da quant’è che sei qui?
- Dalle sei. Capoturno era il Boccia.
- Il Boccia capisce un’ostia…. Cos’ha la mamma?
- La sta ben no. Adesso è da noi, finché non gli troviamo qualcuno.
- Chiedi al Toto, ché han preso una moldava… Bòn!
- La va?
- Attacca, ché la mettiamo in pressione.
- Varda chi… Mi sa che ‘sto serbatoio va cambiato.
- Eh, ce l’ho detto anch’io. Ma gnent...
- Di’, Balin: cosa fai questa estate?
- Sto a ca’ mia… la Maria e io andiamo a stare vicino ai miei suoceri. Coi figli grandi…
- C’è la casa vuota, neh?
- Eh, sì. Te che fai? Ostia! È in blocco.
- Aspetta che tiro via il gas…
- Bòn. Quest’è l’ultima. Se la va, ben. Se no, anduma a ca’.
- Attacco, eh?
- Taca, taca. Vieni qui, va’, che mi m’seti giò.
- Eh, l’età…
- L’età, un’ostia. Sun chi dai cinq e bòt.
- Magari vado da mio cognato, domani.
- Chi, tuo cognato?
- Quello che ha il ristorante per andar su a San Giusto…
- Ah!
- Dai, venite su a farvi una bella mangiata, ché c’è l’oca…
- Eh. Ma c’è anche mio genero.
- Eh, così festeggiamo gli sposi…. Mi dici quanti siete, e ciami su…
- Bòn. La disi a la Maria. Grazie del pensiero.
- E di che… merda! Brucia, qui…
- Ma porca…! Via, via, stacca tutto!
- Togli il gas...
- Ostia, non scarica!
- Come, non…
- Dai che lo facciamo a mano… gira la manetta… gira, gira!
- Cazzo! Non si muove!
- Gira! Gira!
- Non gira, cazzo!
- …
- Non scarica, Balin! Vieni via!
- …
- Vieni via!

giovedì 16 luglio 2009

Sciortstoriez per Alessandra Daniele!

ze City è orgogliosa di concedere cittadinanza onoraria e assegnare il prezioso Negutin d'Or Fudrà d'Argent ad Alessandra Daniele, per aver manifestamente e con merito decostruito la realtà di questo mondo triste e tristanzuolo, satireggiando e svillaneggiando per mezzo di fantascienza il potere e le sue miserie, nei suoi racconti belli e bastardi. a lei e alla sua penna che nulla perdona ai turlupinatori delle coscienze è dedicata la sciortstori che segue, a suo omaggio e nella speranza che piaccia. con sempiterma stima, ze. (alessandra, lo so che c'ho impiegato mesi a mantenere la promessa, ma: ci vieni, a ritirare il premio?)

Lemmings

di Armando Barone (dedicato e per omaggio ad Alessandra Daniele)

Dall’alto della falesia artificiale, il Piccolo Uomo guardava fuori dalla finestra blindata. A strapiombo, sotto di lui, la Città dalle Mille Luci sbatteva le palpebre alla luce di un’alba grigiastra. Aggrovigliata nei tentacoli della tangenziale, illuminata al centro dalla subcentrale eco-atomica cittadina, agonizzava attorno al cuore d’uranio e di merda incastonato nel buio.
Il Piccolo storse la bocca. L’olezzo era salito fino a lì. Inutile, doveva andarsene.
Aveva fatto costuire la Grande Esse, la falesia in granito e vetracciaio, perché i dottori lo obbligavano all’aria pura, i servizi segreti all’inaccessibilità. E i tecnici di Eniformigon gli avevano assicurato che i fumi del processo di smaltimento delle acque nere a base di uranio arricchito non sarebbe mai salito fin lassù.
- Ma devo proprio fare tutto io? – gridò alla lastra di vetro blindato.
Meno male che c’era Palazzo Figa. Un Presidente dei Presidenti non può continuare a vivere immerso nella puzza. E il nuovo nome per il suo palazzo di rappresentanza lo rinfrancava assai.
- Chiamami Crotalo - sibilò allo Stanzitron.
Pochi secondi e si aprì la porta: sulla soglia apparve una gran gnocca rossa in abiti succinti.
- Hai voglia di me, mio signore e padrone? – disse la olo-gnocca con una sgradevole voce maschile, nasale e sottile.
- Croti! Cos’è questa voce orrenda?
- È la mia voce, mio Signore e Padrone.
- E perché non sento la voce della Gildona? E perché l’immagine sfrigola?
- Non so, è da stamattina che non mi funziona il sintetizzatore vocale. L’immagine non è chiara, EssePi?
- Non si vedono neanche le tette!
- Ah, ecco.
- Ecco cosa?
- Ecco perché la sua immagine ha i capelli verdi. Dev’esserci un problema al Sistema. Vuole che verifichi?
- Sì, ma prima dai l’Ordine.
- L’Ordine, signore?
Il Piccolo Uomo ebbe un moto di disgusto. Per un attimo era apparsa la vera figura di Crotalo, liscia e aggrottante le sopracciglia mutate chirurgicamente in sottili saponette alla lavanda.
- L’Ordine! Ce ne andiamo, Crotalo! L’aria è irrespirabile, qui. Prepara Palazzo Figa, e fai accendere la camera Pisellatrice, così è calda calda quando arrivo.
- Sarà fatto.
- E fai controllare il Sistema, che senza ologramma non ti sopporto.
Si specchiò nella grande parete: sì, aveva proprio i capelli verdi. E la sua gloriosa nudità stava rivestendosi di una specie di tutina blu.
- Crotalo! Cos’è questo? Perché non appaio nudo e col perticone eretto?
- Me ne occupo immediatamente, signore, ma…
- Ma?
Crotalo sospirò, e abbassò la voce.
- In verità, credo di saperlo.
- E allora?
La gnoccona-crotalo si fece ancora più intermittente. Ancheggiando con un secco culetto da uomo si portò al Grande Display e lo accese, senz’audio. Incominciarono a scorrere le immagini dei disordini di giornata.
- EssePi, il momento è difficile. Duecentoquaranta dei seicentotre presidenti tuoi vicari sono morti nell’ultima settimana. Quattordici solo stanotte.
- Morti! E come?
- Qualcuno ha inserito nel Bravo Sistema Intergovernativo Multiplo di Amministrazione Controllata una sorta di virus…
- Che virus?
Il Piccolo Uomo si stava agitando. Ricordava ancora quando dei sabotatori anarcofrocisti gli avevano drogato la camera Pisellatrice. Una settimana senza scopare e impacchi di endorfine al membro lo avevano frustrato oltre ogni immaginazione.
- È un sottoprodotto di un videogame. Anni ’80.
Il Piccolo Uomo schierò un sorriso di sollievo. Se veniva dagli anni ’80, non poteva essere così male.
- Il giocatore doveva usare personaggi antropom… degli omini, a cui assegnava compiti precisi allo scopo di trovare il modo di passare la prova… e se c’era da sacrificarne qualcuno, si prendeva la dinamite, si metteva sulla testa dell’omino e partiva un conto alla rovescia.
- Bello! Lo voglio! Ne facciamo un’edizione presidenziale! E gli omini li voglio con le facce dell’Opposizione!
- Sì, prendo nota… - disse pazientemente Crotalo.
- Gli Italiani ne andranno matti!
- Sicuramente, ma c’è un problema…
- E quale? – chiese EssePi allo specchio, chinandosi per cercare di riconoscere la sua eccitazione sotto la tutina.
- I suoi uomini sono morti esplosi. Dai resti, si arguisce che avevano tutti i capelli verdi e indossavano tutine blu.
- Ognuno ha la sua perversione, caro Crotalo! Io per esempio…
- Signore! – gridò il Crotalo, ormai tutto ometto e per niente gnoccona – Non capisce! Anche lei ha i capelli verdi, e anche la tutina, e…
Il Piccolo Uomo comprese, finalmente, il pericolo.
Si passò la mano sul glande immaginario: che fare?
- Quanto tempo abbiamo, Crotalo? – disse improvvisamente, col piglio decisionista dei bei tempi.
- Poco, temo.
- Poco quanto!
- Cinque secondi, Esse Pi.
- Cinque…
Il Piccolo Uomo si voltò di scatto verso lo specchio: sopra la sua testa, i numerini bianchi del conto alla rovescia.
- No! Non può finire così! Crotalo! Tu! Tu sei il mio migliore amico! Fai qualcosa!
- Ma certo, Esse Pi. Però nessuno può cambiare il suo destino, in Lemmings.
E con gli occhi sgranati di panico, il Piccolo Uomo verde esplose lasciando tracce di sangue e silicone per tutta la stanza.
Crotalo si avvicinò ai resti. Anche sulla sua testa comparve il numerino bianco: cinque, quattro…
- Resta un’ultima cosa da fare, prima di andare – disse sottovoce a se stesso, mentre il cielo sopra la sua chiometta verde diceva tre, due …
Si avvicinò ai resti dell’amico e, sbottonatosi la patta, ci pisciò sopra.

giovedì 2 luglio 2009

The Big Chill


- Hai presente Il grande freddo?
- Sì. Belllo. Bella anche la…
- …la colonna sonora, sì. Ma te lo ricordi bene?
- Mh. Sì, credo di sì.
- E secondo te perché Tom Berenger alla fine va via con JoBeth Williams?
- Eh?
- Tom Berenger: il personaggio che è un attore famoso di telefilm… e la mora sposata. Presente?
- Ah, sì. Eh, stanno insieme perché era quello che avevano sempre voluto.
- …
- Forse.
- Secondo me non doveva finire così.
- E perché?
- Che senso ha? Sette amici che si ritrovano intorno all’amico suicida, e sembrano ancora gli uni fatti per gli altri. Bello. Scoprono che sono gli stessi di sempre, e anche che sono irrimediabilmente cambiati. Proprio le due cose insieme. Bellissimo. Per tutti cambierà qualcosa, dopo. Tutti si rendono conto che essere se stessi è difficile. E Tom Berenger è quello che più di tutti non sa chi è. Non sa cosa vuole. La mora, dal canto suo, si rende conto che non le piace più la vita col marito…
- Me lo ricordo. È quello che si vede in vestaglia che spalma burro di arachidi…
- Infatti. Noioso, ma affidabile. Padre di famiglia. Tutte quelle cose lì. Mentre lei vorrebbe tornare a scrivere poesie, fare un’altra vita, insomma sentirsi un po’ più se stessa, se non ho capito male.
- Come gli altri.
- Esatto. A me è sempre piaciuta questa cosa del weekend dove succede di tutto, che ti scompiglia la vita e anzi quasi te la scardina. Che ti si aprono davanti prospettive che hai sempre avuto, anche se finora ti è mancata l’occasione. Con i tuoi amici che sono quelli che ti hanno cresciuto, oltre a crescere con te.
- Mh. E perché Tom Berenger e la mora non vanno bene?
- Ma perché tutti loro in qualche modo voltano pagina – lo dice Kevin Kline, nel film – “A me invece non spiace avervi perso di vista, avevo bisogno di buttarmi nel mondo, di sporcarmi le mani”. Ma la voltano in avanti. William Hurt ritorna umano, e se ne va via con la ex dell’amico. Kevin Kline e Glenn Close stanno per vendere l’azienda, e comunque la loro fetta di casini l’hanno già passata. Infatti sono i più solidi. Sono sempre stati un po’ la mamma e il babbo di tutti. La ragazza che fa l’avvocato vuole il figlio e probabilmente si farà aiutare da loro. Jeff Goldblum vuole smettere di fare il giornalista e aprire il club. Invece loro cercano di recuperare un rapporto che non c’è mai stato, per un motivo o per l’altro. Tornano indietro.
- Come fai a dirlo? Il film non dice questo, e comunque può anche darsi che sia un errore… il finale mica è un lieto fine.
- È proprio questo, il punto. Gli altri, avanzano. In direzioni forse non previste, non è detto che di lì in poi saranno felici. Ma c’è un cambiamento. Loro sembrano voler tornare a quando dovevano finire a letto insieme. Sono due insoddisfatti: lui non si sente all’altezza di niente, è insicuro, non ha ancora deciso cosa fare della sua vita. Lei butta all’aria una famiglia, con figli, e anche lei sembra non aver capito molto di se stessa. E pare che vogliano più che altro trombare per sentirsi ancora giovani.
- E questo è male?
- Eh, certo. Tutti gli altri, in qualche modo, fanno un passo avanti. Loro, no.
- E perché un errore non dovrebbe essere un passo avanti?
- …
- Magari Tom Berenger e la mora si renderanno conto di aver fatto una cazzata. E resteranno insoddisfatti. E dovranno riproporsi il problema di cambiare cercando di stare bene con se stessi, più che l’uno con l’altra. Ma non conta niente: ognuno di questi errori li avvicinerà in qualche modo a quello che cercano.
- …
- Io almeno la penso così.
- E secondo te Lawrence Kasdam, il regista, lo sapeva che stava scrivendo una cosa così?
- Secondo me, sì.
- …
- Ha scritto due Guerre Stellari con Lucas, non dimenticarlo.

[nella foto: glenn close, kevin kline, meg tilly, tom berenger, william hurt, mary kay place, jeff goldblum, jobeth williams]

martedì 26 maggio 2009

Sciortstori elettorale: conversazione tra pendolari

La Normanna ha sentito su un treno una conversazione tra due o tre pendolari. E annunciavano che avrebbero votato Ferloni. Quando me l'ha raccontato, è nata questa sciorstori elettorale.


L'Uomo del Treno

Il giornale si chiude di botto e quasi finisce per terra.
- Ma basta, echeccazzo…
- Che hai?
L’Amico aspetta mentre l’Uomo del Treno raccoglie la rabbia fuori dal finestrino, dalle parti di Certosa.
- Non li sopporto più.
- Chi?
- Ma tutti e due, Albergati e comesichiama, Cattaneo.
- Vabbè, ma che ti frega, tanto vince la destra…
- Ma possibile, cazzo. Uno che pare l’abbiano riverginato, che fino a ieri era all’Asm e prima ancora faceva il sindaco. E questo qua, che dice le stesse cose, dico le stesse identiche, lo santificano, perché adesso c’è la moda del nuovo. E l'hanno pure presentato, candido candido, come il portavoce di questo o di quello, pure Berlusconi l'ha unto. Dice di quelle cose…
- E cosa?
- Ma niente. Dice palle, come tutti quelli di Forza Italia. Parlano di case popolari, e lui “Ma certo, le faremo”. Rinnovabili? Lui ha già un piano. Niente nuovi ipermercati? E lui: assolutamente no! Si vede che a Forza Italia son tutti di Fiom e Legambiente...
- Eh, come Berlusconi. Il sindaco operaio, il sindaco ambientalista...
- Sì, ma ti rendi conto? Ma come si fa a credere a ‘sta gente?
- Eppure vince, vedrai.
L’Uomo gli pianta gli occhi in faccia, come a dire speriamo di no. L’Amico rincara la dose.
- La gente non ne poteva più della Capitelli, e guarda cosa fa la destra, adesso. Da Formigoni alla Gelmini, tutti qui a tifare Cattaneo, come in Sardegna.
- Lo so, ma come cavolo fai a votare Berlusconi.
- Vabbè ma qui voti Cattaneo, mica Berlusconi.
- Ah sì, ma certo, Cattaneo fa il sindaco e Abelli, e Filippi, la Lega, e tutta ‘sta gente fino a Formigoni si fa i fatti suoi. Come no? Guarda che se va su Cattaneo è Forza Italia a fare il sindaco, mica 'sto ragazzo.
- La gente è stupida. Vota il simbolino sulla scheda, è sempre stato così.
- Bella roba.
- E cosa voti, allora? Di Pietro?
- Ma manco... stanno con Albergati, vai a sapere perché. E mi sa che non li voto manco alle Europee. Anzi, non so neanche se vado a votare, guarda.
- E allora? Chi voti, le liste civiche? Ancora Veltri?
Passa il controllore. Vidima, tace.
- Non c'è più Veltri, sindaco è Ferloni. E poi che c’entra, scusa? Mica c’è il voto utile, per il Comune.
L’amico ride.
- Il voto utile! Sai che quasi me l’ero dimenticato?
- Fammi capire: ne abbiamo tutti pieni i coglioni della solita gente, e Pd e PdL, e i politici che fanno tutti schifo… e poi li devo votare?
- E perché non lo fai tu, il sindaco? Io ti voterei!
- E per cosa, perché sei mio amico?
- Peggio di questi non puoi essere.
- Ah, grazie. Ma se ci fossi veramente, alle elezioni, con la lista civica e tutto il resto, mi voteresti?
- Se mi fai tornare a lavorare a Pavia, che non devo più pigliare 'sto cazzo di treno, volentieri.
L’Uomo piega il giornale, si mette più comodo.
- E allora mettiamo che il primo punto è che facciamo tornare a lavorare a Pavia tutta la gente che a Milano, se avessero potuto scegliere, non ci sarebbe andata.
- Magari! E come fai?
- Che fai... fai nascere il lavoro qua, per dare almeno un'alternativa.
- Eh, ma con queste promesse mica si vincono le elezioni. Non ci crede nessuno.
- Perché nessuno c'ha tentato, non si può fare? Lo fanno in tutta Europa, si può fare anche qui.
- Ma qui siamo in Italia.
- Vabbè, ma anche se fosse, che faresti?
- Vengo pure io in lista, guarda, ti finanzio anche la campagna elettorale!
- E che è, sei ricco di famiglia?
- No, però una decina di euro guarda che le metto…
- Ah, grazie. Però la voteresti, la lista civica.
- Sì.
- E allora perché non voti il Cantiere, o la Campari, o la figlia di Magnino…
- Ma perché? Tanto si sa già chi vince.
- E mica fai la schedina! Uno vota per farsi rappresentare. Chi ti rappresenta, Albergati O Cattaneo?
- Ma nessuno dei due.
- E allora?
- E allora non voto.
L’Amico prende il giornale dalle mani dell’Uomo del Treno.
- E tu che fai, voti Veltri?
- Ancora? Veltri non c’è, c’è il fratello. Sindaco è Ferloni.
- Chi, il professore?
- Sì.
- Ah beh. Un brav'uomo. Strano...
- Perché?
- Strano che un brav'uomo si metta in politica.
- Maddai...
- E che dice?
- Beh lui è uno che si intende di ambiente, di arte... Non so, dovevo andarli a sentire al Valla, ma poi non ci sono andato. C’hanno il sito, però.
- Hm. E poi chi c’è?
- La Campari, con la lista di Grillo. La figlia di Magnino... te lo ricordi, lui?
- No. So chi è, ma io non l’ho avuto.
- Poi c'è un ragazzo per i Comunisti... E altri, che non conosco.
L’Amico sfoglia il giornale, poi lo chiude. Il treno sta entrando a Rogoredo.
- Mah, tanto è uguale. Uno o l’altro, tanto poi tutti si fanno i cazzi loro…
- Ah ma allora vedi che non mi voteresti, neanche se ci andassi io?
- Niente di personale, ma ti ci vedi in mezzo a quella gente? Secondo me se ci provi ti fanno a pezzi…
- Ma chi? Ma tu sei fuori… Porcari, Abelli. Ma uno deve avere paura di questi qua? Ma son vecchi. Potenti quanto vuoi, ma sono vecchi...
- Secondo me quando entri in quelle logiche…
- Sta’ sicuro che se dovessi entrarci, di logiche non ne vedresti più. Ma anche tu, lo faresti. Secondo me, se appena appena non sei di questo o quel partito, la vedi la differenza.
- Boh, forse. Ma io non mi ci metterei mai.
C’è una porta rotta. Per scendere ci si mette in fila. L’Uomo parla all’indietro, schivando borse e spigoli vivi.
- Ma alla fine, tu per chi voti?
L’Amico ci pensa un istante.

martedì 23 dicembre 2008

Sciortstori! Prima pagina per Cristinsan

Stavolta la sciortstori m'è venuta un po' long.

Prima pagina

Narrano che il prode Konguchi, lo stesso che in patria disegnava sotto psudonimo celebri fumetti con micro mutandine, grandi tette e piselloni in grado di scatenare orgasmi Kamehameha, fosse in realtà un timido ometto compunto. Quasi un impiegato di banca, quasi un personaggio di quelli dei racconti di Murakami Aruki: irrimediabilmente inserito, e per questo perso, nei tempi moderni del Giappone.
Cristinsan, che nei giorni prima del rientro in Italia aveva accettato di fare il corrispondente dalla Corea per Caterpillar, lo aveva intervistato a Seul. Konguchi-san firmava autografi e graffiava veloci schizzi a china per i fan, e a lei era venuto in mente di fargli raccontare in diretta il disegno che stava facendo, traducendo una sorta di radiocronaca della tavola. La puntata fu memorabile: lui parlava di atti nominabili a fatica in pubblico (figuriamoci in Rai) e Cristinsan faceva interminabili giri di parole per tradurre, scatenando l’anima satira di Cirri e Solibello.
Effetto comico assicurato.
Ottima spalla, si dissero, e ora che se n’era ritornata dalle parti di Varese e cercava lavoro, Radio Rai l’aveva richiamata per una corrispondenza, questa volta meno volontaria e quasi retribuita, su Giappone, Corea e tutto quell’estremo oriente così difformemente globalizzato. Il pretesto era il G20 organizzato a Milano, una specie di anticipo dell’Expo. Festa grande con i premier di Cina, Giappone e Sud Corea, negli incontri a margine per il commercio: una caccia al soldo delle ex tigri asiatiche.
Cristinsan, giunta sul posto in Panda a metano sponsorizzata Caterpillar, aveva il compito di interrogare il pubblico giunto ad assistere alla sfilata dei politici sul tema della crisi e del protocollo di Kyoto. Tuttavia, già al primo giro si accorse che qualcosa non andava: prima di tutto, c’era troppa gente. Giapponesi, coreani, cinesi, sì. Ma tutti quegli italiani, da dove venivano? E perché erano lì? I primi contatti, poi, erono assai deludenti.
Un architetto giapponese sembrava recitare il ruolo da caricatura del dottor Slump, con tanto di V di vittoria di fronte a un’inesistente videocamera, e dichiarazione di circostanza. I cinesi si aggiravano guardinghi, e non avevano nessuna intenzione di parlare. Una signora coreana risultò essere in Italia da almeno due generazioni e disse di essere lì per caso.
Poi arrivo Berlusconi, e dietro Tremonti. Sacconi, Brunetta. Bersani, Franceschini. Due o tre manipoli di deputati, più la Moratti e l’onnipresente Formigoni. Cominciò la conferenza stampa: i politici si misero in piedi, dietro il poderoso apparato di sicurezza, per le foto di rito. Berlusconi si impossessò del microfono, e improvvisò una specie di saluto.
Tutti, e si dirà poi proprio tutti, tra quel pubblico stranamente attentissimo e mormorante, serio e teso, si mossero un poco. Serrarono i ranghi e all'unisono piegarono la testa, ognuno per passare parola al vicino.
Cristinsan accese la videocamera del telefono, la alzò sopra la testa e cercò di seguire l’onda di teste che s’accostavano l’una all’altra. Scrutando nello schermo si accorse che stava passando qualcosa di mano in mano. Un oggetto scuro, anzi tanti oggetti scuri. Appena ne vide uno venire dalla sua parte, si voltò a filmarlo, ma non riuscì a prenderlo.
In compenso, nello schermo vide il suo vicino, un anziano signore giapponese finora pietrificato in un’espressione di compunta serietà, sorridere così largo che le venne da sorridere per contagio. Il vecchio se ne accorse, si accostò a lei e le disse in giapponese: “Aspetti e vedrà”. Cristinsan non ebbe il tempo di pensare “come diavolo poteva sapere che conosco il Giapponese”, perché in quel momento calò un silenzio irrreale.
Berlusconi parlava e le telecamere ronzavano ma il pubblico era improvvisamente immobile, muto. Come se aspettasse un segnale. La cosa sconcertò non poco sia i politici che gli altri giornalisti. Un certo disagio serpeggiava su e giù dal palco.
Poi eccolo, il grido: una voce da capocoro strillò altissima “Mun-ta-daaar!” e simultaneamente tutti, ma proprio tutti si dirà nei tg della sera, tutti i trecento e più spettatori si sfilarono la scarpa sinistra. Poi ancora, al comando “Ho!” cominciò un primo, fitto lancio di scarpe sul palco.
Poi nuovo grido, e fu la volta della scarpa destra. Poi a ondate – estratti da gorssi sacchi neri nascosti in mezzo alla folla - volarono pantofole, infradito, stivali di gomma – tutta roba che volava bene e colpiva nel segno.
Una grandinata di scarpe colpiva senza sosta lo stato maggiore del parlamento italiano e tutti i leader orientali col loro codazzo, con la polizia che provava a fare schermo con gli scudi e, colta di sorpresa, non sapeva se caricare o no. Ma non ce ne fu bisogno: come se ne erano venuti, silenziosi e alla chetichella, così, finite le scarpe, tutti se ne andarono, lasciano alle televisioni di tutto il mondo le riprese di quella scena surreale: una montagna di scarpe copriva il palco, sopra cui si agitavano freneticamente degli uomini improvvisamente piccoli.
La cosa ebbe naturalmente il suo seguito: da quel momento in poi, ogni apparizione dei leader del G20 fu salutata da salve di scarpe, ortaggi, uova, palloncini pieni d’acqua, palle di neve.
Quella sera, Cristinsan fece la sua diretta radio da un caffè lì vicino, raccogliendo non poche testimonianze. Ma non fu quello che la rese in qualche modo famosa. Fu la foto in prima pagina de il Corriere, il giorno dopo: il reporter l’aveva ritratta mentre, sfilata una scarpa da ginnastica a foggia Superga, lanciava con gesto plastico verso il palco delle autorità.
Gran bella foto.
Dalle cronache risultò poi aver centrato il suo bersaglio.

venerdì 19 dicembre 2008

Enze Uinner iz… CRISTINSAN!

Il nuovo e inutile sondaggio di Ze City ha assegnato la preferenza del mio folto, foltissimo pubblico (quasi come la mia capigliatura) a Oggetti smarriti.
Grazie a tutti per aver partecipato, ma solo uno vince, e dunque prima o poi arriverà una sciortstori dedicata a cristinsan e al suo In Corea.

lunedì 1 dicembre 2008

ze question! a sciortstoriez for you

Novità: al nuovo e sempre inutile ze question è abbinato il futile concorso "Vinci ze sciortstori". Ditemi qual è la mia sciortstori che vi piace di più.
Tra chi parteciperà al sondaggio estrarrò alla mia presenza il fortunato vincitore di una sciortstori a lui/lei dedicata.
E poi gliela scriverò, ispirazione permettendo.
Ah, chi può resistere a una simile offerta?

Per leggere i mini-racconti, cliccate sulla categoria sciortstoriez.
Dopo aver votato, firmate rispondendo a questo post.

Coincidenze

Questo invece il 30r dello scorso mese, finalista per il tema: "Confessioni". Seguirà dibattito.

Coincidenze

Me lo dice mentre torniamo alla macchina, nella nebbia bagnata di novembre.
Lui dritto e atletico sulle gambette da trampoliere, io che soffoco a ogni passo nell’acqua dura dei miei sensi di colpa. Sopra di me alla panca dei pesi mi ha detto ti devo parlare, ho risposto anch’io guardandolo fisso negli occhi, prima io ha detto lui.
“Ho rotto con la Maria”
Sgrano gli occhi. Occazzo, era questo?
“Non andava più. E poi c’ha un altro, me l’ha detto”
Ecco, la Maria e io ci abbiamo pure litigato. Dovevo dirglielo io, ma non sapevo come. Alzo gli occhi, e lui sorride: “Non ho mica finito, sai?”. Poi qualche passo.
“Me ne vado. Domani do le dimissioni”
Qui ci rimango secco. E lui quasi si scusa: “Uno che conosco mi ha fatto una bell’offerta”.
Non ci credo. Ho l’autorizzazione a liquidarlo con due anni di stipendio, quattro se minaccia le vie legali. Sono io il suo capo, da oggi. Pensavo fosse venuto a saperlo da qualcuno. Pensavo fossimo qui per questo.
“Parto per Montevideo, tra un paio di giorni”
Spia la mia faccia, io direi anche qualcosa. Ma non riesco a fare a meno di pensare ad altro che al modo di dargli la liquidazione e tenermi i quattro anni di stipendio. Non posso farci niente.
“Dimmi almeno che sei contento per me!”
“Scusami” e qui studio la voce e lo sguardo “È che tutto insieme…”.
“Mi spiace” e si avvicina, io cammino per non farmi toccare “Ti lascio nella merda, lo so… anche la causa”. Vinta. Hanno pagato. Centoquindicimila euro. Non gliel’ho mai detto. Non gli ho mai dato la sua parte. Faccio spallucce: “Lascia stare”.
“Dai” stavolta mi tocca, il braccio mi si congela all’istante “Prima o poi doveva succedere”.
Annuisco.
“E tu? Come stai?”
Adesso mi si piazza davanti, gli occhi calmi e limpidi, e quel sorriso antico. Io sto come appeso per la schiena alla portiera.
“Dai, racconta”

Muto (la Sentenza)

Scritta dopo aver appreso la sentenza sulla Diaz. Nessun risultato a 30r, ma mi premeva sapere cosa ne pensate: è che ogni tanto mi prude di scriver versi.

Muto
(la Sentenza)

Se c’è un dio
ma quella notte non c’era
sta sanguinando secco
sul muro
è tutto come in
quel culo di pelle bianca
raccolto nel lamento
povero sacco e ventre
ragazzina di tela

è tutto come
carne lacerata, le grida
nell’altra stanza
come vene di linoleum
sgnicca la gomma
come a minibasket

è tutto che sta qui
in piedi al muro
mani sulla testa
stringo le palle tra le cosce
cento mani, vorrei
per ripararmi - so cos’è
la paura tutta in quei due
passi gommati veloci stringati
prima del calcio
calcio - sono io o è un altro
che ha la milza spaccata?

guanto blu, kevlar blu

è tutto il dito nell’anello
strappa, duce! duce!
vola cartilagine, dottore
piercing del cazzo
è il manganello nella figa
è la mano nella bocca
è piscio è disinfettante
è quelli che ridono storto.

Arrivano i caschi.

Se c’è un dio
è un muro imbrattato
una voce che lo batte a terra
indifeso gridando
puttana comunista
e noi lo stiamo guardando
in poltrona, col telecomando
senz’audio.