lunedì 27 luglio 2015

Non ti assicuro niente

Raccolgo l'invito di Giusi Marchetta. Non so bene con quale titolo partecipo al dibattito: non sono (ancora) uno scrittore, e se sono ascrivibile alla categoria intellettuali non me ne sono accorto. Scrivo più che altro per ragionare a voce alta.


Caso di cronaca, un’auto con sei uomini e una donna. Lo stupro del «branco». Eppure, la sentenza che non rende giustizia: incredibilmente, passano per innocenti sei maschi (ragazzi sotto i 30 anni), mentre la donna (una ragazza di 22 anni) invece passa per consenziente.
Al di là del contenuto della sentenza, ingiudicabile senza conoscere il completo iter processuale, Giusi Marchetta commenta «com’è scritta la sentenza»: in quelle righe c’è un ritratto della ragazza che sembra togliere ogni dubbio sulla sua condotta "a rischio". Procace e provocante, disinibita, bisessuale, atteggiamenti lascivi. Addirittura, secondo le testimonianze, nel corso della serata avrebbe detto che «voleva scoparseli tutti». Ma è anche il contesto che è descritto (anzi: «raccontato») in modo che non si sfugga al giudizio: gli slip rossi, la cavalcata sul toro meccanico, il sesso orale in un bagno, dettagli su eiaculazioni e posizioni nell’atto sessuale. (Utili? Possibile, dato che occorre dimostrare che atto sessuale c’è stato, ma davvero necessari per la sentenza?).
Però alla sovrabbondanza di particolari sul vissuto della ragazza e sui suoi comportamenti e sulle sue preferenze in materia di sesso non c’è contrappeso: dei sei uomini si dice solo che erano bravi ragazzi senza precedenti. Erano sei contro una, d’accordo, ma del resto: erano in auto con una sexy virago di 22 anni che aveva perfino fatto un film splatter.

Io questa la trovo un’enormità: com’è sostenibile che tutto ruoti intorno al consenso della ragazza?
In questa notizia vedo emergere un quadro particolarmente brutale di obbedienza a una «opinione comune», che spazza via la comune nozione di responsabilità personale: il consenso è stato dato, quindi questa che vuole? Come se fosse dato per scontato che sia esperienza comune di tutti i maschi trovarsi in sei in auto a fare sesso con la stessa ragazza, che evidentemente a questo punto avrà ripetuto il proprio consenso a tutti, uno per uno.
Anzi, posto che il sesso - anche quello estremo - dovrebbe definirsi per il piacere reciproco e che anche per la Giustizia questa nozione dovrebbe essere dirimente, ci si chiede come sia stato possibile stabilire che il consenso sia stato inequivocabilmente dato a ogni momento dell'atto (di tutti gli atti) in virtù di questo piacere reciproco. Alcool o non alcool.
E resta davanti ai nostri occhi la follia che si sia ritenuto comunque legittimo, in virtù di tutto questo dare consenso, dare sfogo alla propria eccitazione: non mi interessa cosa vuoi, mi interessa che lo vuoi.

Fa bene Giusi a chiedere che anche gli uomini, per una volta, prendano una posizione. Ho letto Giorgio Fontana che parla di femminismo per i maschi, e ho trovato il suo intervento interessante e ricco di spunti.
A me preme soprattutto sottolineare come sia enorme il fatto che nero su bianco una sentenza di un tribunale della Repubblica apra il campo a una considerazione deviante, quella secondo cui, se ti provoco, automaticamente ho dato il consenso alla tua reazione. Spazzando letteralmente via il concetto di responsabilità personale.
Insomma se ti dico «Picchiami» e magari ti indico anche la mia faccia, se lo faccio più volte, se faccio tutto questo anche ad altri, e se per giunta sono uno che fa a pugni spesso, il cazzotto che mi sfigura me lo sono cercato. Giusto? Siamo due uomini adulti e consenzienti. Vogliamo tutti e due spaccarmi la faccia.
Ecco, no, non è giusto.
Primo, perché le lesioni restano un reato anche se siamo «consenzienti». Secondo, perché il mio consenso a spaccarmi la faccia, io, non te l’ho dato. Ti ho provocato, è vero, ti ho chiesto addirittura di picchiarmi, certo, ma qui sei tu a decidere, non io. La responsabilità di quello che fai resta tua. Terzo, la nostra relazione non è simmetrica: tu hai il potere di farmi male, anche se te lo consento questo non vuoi dire che è legittimo farlo.
La violenza è di per se stessa asimmetrica: c’è chi la compie e c’è chi la subisce.

Ed è qui che la questione di genere torna a essere importante: la relazione tra uomo e donna è storicamente asimmetrica. E la domanda dovrebbe quindi essere: quanto siamo consapevoli di questa asimmetria quando valutiamo i fatti?
Mettiamoci nei panni di uno dei sei che sta facendo sesso con la ragazza in auto. Lei non sembra molto in sè e anche tu hai bevuto. Pensi davvero che sia consenziente? Pensi davvero che si stia solo divertendo? Che essere lì, con lei mezza ubriaca, in sei, sia una situazione «potabile», magari solo un po’ estrema?
Chiaro, non è del giudizio morale che si occupa il Tribunale, ma dell’accertamento dei fatti. Ma la ricostruzione dei fatti si poggia sul movente delle azioni di chi quei fatti ha compiuto.
Come può reggere una ricostruzione che nega la responsabilità di sei maschi, sei?
Questa sentenza dice che le circostanze tutte lì, stavano: a dire che la ragazza li ha provocati, a lungo e con tutte le armi a sua disposizione, e che non era neanche la prima volta che si comportavano così. Loro, che potevano fare: rifiutarsi, forse?

Se non vi piace questa visione un poco «moralizzante» prendiamo la questione da un altro punto di vista.
Lascio la porta aperta, i soldi bene in vista, il pc sul tavolo. Ti dico dove abito. Ti dico che è tutto lì, pronto per farsi rubare. Ti dico che mi piacerebbe che tu mi rubassi tutto. Se entri e rubi tutto, hai ragione di farlo?
No, dice la legge, il furto resta un reato.
Eppure c’è qualcuno che verrebbe a dirmi che sono colpevole un po' anche io, che non ho fatto di tutto per impedire di farmi svaligiare la casa: è il mio assicuratore. Che mi dirà: il tuo comportamento è a rischio, io i danni adesso non te li pago.
Ecco, è questa visione «contrattuale» della giustizia che temo: se sei donna, e non te la sei cercata, allora l’uomo che abusa della sua forza è uno stupratore. Castriamolo.
Ma se invece il tuo comportamento è a rischio, beh, diciamo che è tutto relativo: potrei usare il mio pisello oppure no, come mi viene.
Metti che quella sera ho bevuto.



mercoledì 20 maggio 2015

Sboritelling


Sono queste le storie che farebbero la gioia di qualsiasi storyteller.
Alzi la mano chi l'aveva immaginato così bene: neanche un cinquestellato con la sua pizza proletaria, o un qualsiasi Alfano col black blocker testimonial della Rolex, neanche un modesto Salvini (per dire) col suo abbaiare ai rom con la Mercedes.
Dai, se l'avessi scritto per la Settimana Corta sarebbe stato fantascienza.
Riepiloghiamo, con le stringhe (thread) come i social media cosi (manager, editor, content writer) che sanno come si fa:
- protagonista: un super manager di un'azienda (quasi) pubblica
- la suddetta azienda è delle Ferrovie - ossia quei carrozzoni che evocano Prime Repubbliche e lingotti nel pouf a fronte di pendolari stretti come acciughe in container maleodoranti per gran parte dell'anno
- le ferrovie in questione sono le Ferrovie Nord (quindi neanche Satana-Trenitalia, che prima o poi ti ci rassegni, se no finisce che dai fuoco a un treno)
- contesto: la crisi si percepisce così tanto che persino Marchionne è passato dal cachemire al cotone pettinato (ma forse è l'estate)
- il suddetto super manager usa la carta aziendale come se non ci fosse limite al peggio: ci paga persino le scommesse sportive (che tu dici: ma lo beccano! Appunto)
- l'espressione "pagata con i soldi dei pendolari lombardi" è una caciarata da pentastellati ma rende l'idea, no?
- eppure, è già straricco: possiede così tanta roba che sulla libreria i Malavoglia pigliano fuoco per autocombustione e Paperone si suicida con tutti i Bassotti
- ha sedicenti società poco chiare a Londra che fanno bisiness non si sa come (e qui già ti vedi l'Ispettore Ginko guardare Montalbano e scuotere la testa: senti, basta, abbiamo chiuso, molliamo tutto e apriamo una bocciofila a Poasco)
- come non bastasse questo, ci ha due figli che gli mangiano un patrimonio al mese: uno di questi posta su facebook orologi da milioni e persino un selfie con una testa del Duce
- aspetta, ferma un attimo: del Duce! Cazzo, questo ha in casa una testa di Duce! E si fa anche il selfie!
- ma attenzione, non finisce qui: il Nostro, visti i danni che gli fanno i figli, cosa fa? Si pente! Chiede il controllo sulle spese e, occhio la svolta alla Scorsese, comincia a restituire qualcosina...
- ma la chicca, il tocco di classe che solo quel gran figlio di puttana che è il Destino può tirare fuori, è il riconoscimento (Benedizione Apostolica) che gli concede persino papa Francesco (Francesco! Dai, quello che ci piace! Quello della "fine del mondo", della povertà, della Chiesa in strada, la simpatia nell'accento e il telefonino sempre pronto per una parola di conforto!), finito su facebook grazie al figlio sborone:


- pensate che sia finita? No, no. Ci mancherebbe che tale figlio, stante la situazione, abbia anche un incarico pubblico...
- ed eccolo, con le parole de L'Espresso (da cui ho tratto ispirazione anche per il resto), con cui chiudo, lasciandovi nella meraviglia:  
L'informazione arriva dalla sua “scheda per la trasparenza” pubblicata sul sito web del Comune di Milano. Già, perché il figlio del manager ed ex assessore di Forza Italia Norberto Achille ha anche un incarico pubblico: siede nel collegio dei revisori della Fondazione Milano , l'ente che coordina l'attività culturale ed educativa delle scuole civiche di musica, cinema e teatro. È stato nominato il primo marzo del 2012 e lì resterà fino all'aprile del 2016, percependo un gettone di 41 euro a presenza e un fisso di 5mila euro.

martedì 17 marzo 2015

Appunti per una recensione che non scriverò


Comincerò con il dire che non sono in grado di recensire il libro di Pietro Roberto Goisis “Costruire l’adolescenza” - neanche se per recensione intendiamo il solito consiglio di lettura. E non perché non lo consiglierei, anzi lo consiglio caldamente, ma perché non ho proprio la competenza per scrivere del cuore di questo libro, che è proprio il suo modo di fare lo psicoanalista con i suoi pazienti adolescenti. Un modo che ha dei padri (Senise, Zapparoli), che intanto così ho potuto conoscere, dei colleghi, dei metodi, dei risultati. Tutte cose che – è chiaro - non so giudicare con cognizione di causa.
Ne scrivo invece per sottolinearne tutti gli altri motivi di interesse.
Per esempio: io non sono abituato a leggere saggistica, e se l’ho finito vuol dire che mi ha proprio preso. E mi ha preso, oltre per i motivi di cui ai punti seguenti, perché è scritto per essere letto anche dai non-psico, il che è molto molto meritevole. Ma non si tratta di un libro ‘divulgativo’, eh! Tutta la parte di teoria l’ho capita a stento. Solo: è il racconto di un’esperienza, quindi di un percorso, che è piuttosto chiaro se – come in questo caso – l’autore riesce a farti apparire chiare le premesse da cui si parte.
Poi: Goisis apre il libro con la citazione (il testo intero, mica tre versi!) di La costruzione di un amore di Ivano Fossati. Detto che è una delle mie preferite di Ivano-Sul-Divano, il tutto è funzionale al senso del volume, che è proprio nel senso della parola “costruzione”, che è già nel titolo, e di cui dirò poi.
E ancora: l’autore dice fin da subito che lui lavora con gli adolescenti perché… perché gli piacciono. Gli piacciono proprio, come succede a me. Non solo perché sono problematici, quindi affascinanti, ma perché sono incasinati, feroci e dolcissimi; sono un microcosmo che si agita, un universo subito dopo il big bang, una lattina di coca agitata nella mente ogni giorno per dieci anni. E il loro sgraziato mal calcolare la vita è pieno di bellissimi errori e di stupefacenti strategie per uscirne. Anche solo per questo meritano tutta l’attenzione.
E poi ancora, sono padre, quindi tutto questo mi riguarderà.
E infine: nel libro ci sono un sacco di storie.
Storie, sì: casi clinici che mi fanno capire – vi faranno capire – di che si parla. E io ai casi clinici mi ci sono appassionato. Alla faccia del transfer e del controtransfer, leggendo il libro io tumultuavo dietro ai ragazzi citati e ai loro problemi. Mi ci sono trasferito dentro, ho abitato in quelle stanze dove il Nostro sedeva e li ascoltava. Invisibile, piccolo piccolo, ho fatto da spettatore.
Da quest’ottica, si capiscono almeno due cose – e finalmente veniamo al perché consiglio il libro: lo psicoanalista si “immedesima” nell’adolescente e costruisce una via di uscita insieme a lui (questo non è che l’ho capito io, eh, c’è scritto fin dalla prefazione), formando una specie di alleanza in cui i ruoli siano ben distinti. Niente surrogati di padre, o amico: niente di più e niente di meno che il terapeuta che ci tiene davvero, a farti risalire la salita, che studia con te, che non ti nasconde niente e che prova anche a farti capire i tuoi genitori (e ai tuoi genitori far capire te).
La cosa, se ci pensate, è bellissima. Cosa odiano di più, in assoluto, gli adolescenti? Che gli adulti ti “tradiscano”, cioè che ti raccontino bugie, anche solo per proteggerti. Degli adulti non ci si può fidare, anche se i tuoi li ami tantissimo. E poi che nessuno li ascolti, o li ascolti con condiscendenza, senza trattarli alla pari. Ed ecco qui la cosa affascinante: qualcuno che istituzionalizza a metodo di cura il credergli, il dargli fiducia, lo sceglierli come alleati e compagni di strada.
La seconda cosa. Dalle mie letture per lavoro già l’avevo più o meno recepito, ma qui è detto più chiaramente: i neuroni specchio, la plasticità neuronale, insomma quella roba lì… il fatto che il cervello di un adolescente sia ancora in formazione. (In costruzione!). Ossia, il casino di cui parlavo prima si riflette nella struttura stessa del cervello. Quindi quando il terapeuta cura la sua mente, cura anche il suo cervello. Le sue cellule. I suoi collegamenti.
Che poi da alcuni anni, se ho capito bene, è questo che sta succedendo, nel mondo della cura della mente.
Ultima ultimissima cosa, in fondo al suo saggio Goisis consiglia un libro, un film e un disco. E li racconta proprio, una specie di appendice al suo personale viaggio della memoria professionale.
Il film che consiglia è Noi siamo infinito, e l’ho visto, e mi è piaciuto tantissimo, per un sacco di motivi che troveranno spazio in un altro post. Diciamo però che è stato un ponte, questo, tra me e quest’oggetto libro. Che ora mi guarda dal comodino, pieno di segnalibri lasciati sui punti che mi va di rileggere.
Rileggere, sì. Proprio io che non leggo saggi.

mercoledì 11 febbraio 2015

A me la Buona scuola di Renzi fa paura



Ecco, il fatto è che l'ho vista, questa puntata di Presa Diretta.

Mi ricordo, quando Renzi si è insediato, di aver colto al volo in diretta proprio la sequenza che appare a inizio del servizio. Nel suo discorso Matteo de' Mattei diceva in sostanza che non c'è Paese senza scuola. Cosa di cui sono molto, molto sicuro.
E ho pensato: questa me la segno.

Poi dalla puntata ho anche appreso che esiste un'altra "buona scuola", che non è una buffonata ma roba seria seria, ed è addirittura già in Parlamento.

Dopo averlo scoperto, beh, avrei voluto scrivere un articolo come questo.

giovedì 9 ottobre 2014

Storie del Numero Due: L'anatra volante e il drago


Un giorno l'anatra volante stava passeggiando e sente che la terra si muove.
Però non è che si muove, è che c'è un drago sotto, no?
Un drago che non riesce più a muoversi, perché è un drago d'acqua, e nella sabbia non ci riuscEva.

- Riusciva...

Sì. E con le zampe fa BAM! e trema tutto...
Allora l'anatra volante dice: "Oh! La terra si muove! Cosa ci sarà qua sotto? Proviamo a scavare...".
E allora scava e scava ma non trova niente.
Perché il drago è dall'altra parte.
Ma poi scava ancora e vede che c'è il drago.
E il drago dice: Mhrrr Grrr Brrhg.
E lei: "Ah, vuoi uscire? Allora ti aiuto io".
Così l'anatra volante scava e scava finché il drago non esce.
E vede che è un drago nero.

Poi gli monta in groppa - perché è un drago che non aveva le spine - e gli mette il guinzaglio al collo. E una sella. Come Sdentato.
E vanno.

- Via, verso nuove avventure...

Eh ma il drago non riesce a volare. Perché le ali sono troppo pesanti...

- Era rimasta della sabbia?

Eh, sì, allora l'anatra volante fa un buco nell'ala, la svuota butta via la sabbia e la cuce di nuovo, poi... così le ali sono leggere e può volare. In alto.

E allora incontrano tutti i draghi neri, che lo cercavano. E allora l'anatra volante gli dice: "Ciao, drago nero! Sei arrivato!".
E il drago gli fa

(alza il braccio come un'ala pesante e ride)

Mrg Mrg Mrg
Saluta.

Questa storia si intitola "L'anatra volante e il drago nero".

mercoledì 1 ottobre 2014

Storie del Numero Due: la faccia del leone, dopo.


C'è una zebra che sta brucando tranquillamente. E c'è un toro lì vicino, che la vede e la vuole mangiare...

- Ma i tori non mangiano l'erba?
- Eh sì, però ha un ciuffo d'erba attaccato alla coda, allora...
- Ah...

Ricominciamo. Facciamo che era un leone.
Allora la papera volante, l'aquila e... c'è anche un falco, fanno... guarda!

(Due manine che fanno le ali e si tuffano in picchiata sul marciapiede)

Vanno fortissimo! E guarda cosa fa l'aquila: si toglie una piuma, che è di ferro, e la butta sulla testa del leone!
E poi arriva il falco che... guarda!

(Due manine che fanno le ali e si tuffano in picchiata sul marciapiede)

E il leone scappa, che ha paura del falco. E poi arriva la papera volante che si tuffa nello stagno e poi viene fuori e sputa tutta l'acqua in faccia al leone!
Pensa che faccia, il leone!

Così la zebra è salva.

martedì 5 agosto 2014

Ha ragione l'Ottolina


Pensiero a margine della lettura di Una commedia italiana di Piersandro Pallavicini, romanzo di cui si è scritto già molto bene (e di cui non scriverò perché non aggiungerebbe nulla al piacere di scoprirlo).
Insomma, a un certo punto c'è l'incomparabile Ottolina (memoria della cartoleria pavese? chissà), amica della protagonista e voce narrante Carla Pampaloni, che da ragazza, in preda a trance musicofila o da sostanze psicotrope, è in prima fila al Marquee Club di Londra e riesce addirittura a dettare a Fish, leader dei Marillion, la scaletta dei pezzi, ricevendone alla fine perfino un bacio in fronte.
Beh, allora qui dissento dalla Carla, che bolla i Marillion di Script for a jester's tear come new prog epigone dei Genesis. Mh-no, dai, troppo facile: già è odiosa l'etichetta di new progressive, e poi si è mitizzata un po' troppo la 'figliolanza' di Fish rispetto a Peter Gabriel. Per carità: l'orso scozzese ha copiato all'arcangelo Pietro Gabriele sia le maschere sia lo stile in falsetto, però la musica dei Marillion è veramente troppo anni Ottanta per essere solo 'epigone'. Un po' di originalità a Derek (vero nome di Fish) la lascerei.
Ieri facendo le pulizie mi sono immerso in Script e ragionavo quanto di anni Ottanta c'è in quel disco: la chitarra tamarra (ma dal suono pulitissimo) di Steve Rothery, le tastiere onnipresenti, i testi così intimi e adolescenziali, le copertine (iiiih!)... e poi se senti pezzi come Forgotten Sons - il pezzo impegnato, di denuncia contro la guerra - non puoi non pensare che, sì, epigoni quanto vuoi ma questo resta un gran pezzo, in un grande album.
Per questo dico che invece ha ragione l'Ottolina a sciogliersi come un gelato e alla fine farsi pure baciare in fronte, lei così bruttina e ha ragione Piersandro a immaginare Fish così dannatamente Fish: col cuore vicino ai brutti, ai rifiutati, ai malati d'amore, a quelli che si chiamavano sfigati, senza cattiveria e senza tentazioni di definirli nerd.

martedì 17 giugno 2014

Un poco di immaginazione

 
Leggo l'articolo sul Corriere. Col suo corollario di giuste recriminazioni (nei commenti) di chi è troppo stanco per usare un po' di immaginazione.
Naturalmente, la bici e i percorsi ciclabili non bastano.
Ci vogliono mezzi pubblici elettrici. Silenziosi, piccoli, agili. Ci vuole un piano di investimento a lungo termine, con sponsorizzazione. Per esempio, compri i Fiat e la Fiat può farci pubblicità quando vuole. Li assicuri con l'assicurazione Fiat. Dico Fiat per dire, se no Peugeot, Volkswagen, Tesla. Insomma, tratti.
Poi un'altra idea potrebbe essere, una volta creato un percorso ciclabile compatibile con quello delle auto, autorizzare la circolazione di questi Cosi A Quattro Ruote (in foto), che non so come si chiamano, anzi sì: questi in foto, per lo meno, si chiamano rishock (che brutto nome) e sono elettrici a pedalata assistita. Istituendo anche un servizio ciclotaxi a buon mercato, utilizzabile anche da mamme con passeggini e anziani. Per fare la spesa o andare in centro dalla periferia, magari.
In una città turistica, o in occasione di manifestazioni come la Festa del Ticino, potrebbero circolare solo loro. In teoria, esistono anche mezzi a pedalata assistita in grado di fare quello che fa un furgone. Naturalmente, roba leggera, però si può comunque fare. O far progettare. Anche qui, in Università, a Ingegneria.
Poi ci sono le officine per bici, i pezzi, gli accessori. Si potrebbe fare un distretto della bici qui, nelle aree industriali dismesse. Con bravi artigiani e progettisti.
Ci sono le rastrelliere antifurto che si possono sponsorizzare. Bisogna studiare un modo per fare tutto per bene, perché la bici è facile da rubare, ma gli strumenti ci sono.
Si potrebbe anche affidare all'Università di Pavia l'elaborazione di un software di simulazione del traffico ideato per aiutare la transizione dall'auto alla bici.
Questo solo per dire che magari poi le cose si possono fare.
E se piove e fa freddo e c'è neve, ci sono i mezzi coperti. E i mezzi pubblici.
Poi, per uscire da Pavia, c'è l'auto.

martedì 29 aprile 2014

martedì 1 aprile 2014

A cena con Emilio Lussu


L'ho appena (ri)letto. Voracemente. Non so bene come spiegarvelo, ma: ho riso. Ho riso tanto. E non perché sia un libro che fa ridere - come può esserlo, un memoir sulla più grande macelleria del secolo scorso? - ma perché accanto alla dolorosa stupefazione con cui senti fischiare i proiettili e vedi con gli occhi di Lussu morire soldati in azioni insensate e barbariche, ci sono scene e personaggi (veri) meravigliosi. Che, nella tragedia, sono umani, terribilmente umani. Come il generale Leone che riesce miracolosamente a schivare a più riprese la palla dell'austriaco che finalmente lo spacci. Come il povero Marrasi che prova a disertare e non ci riesce mai. Come Avellini e Ottolenghi, l'innamorato e il ribelle.
Ecco, io uno come Emilio Lussu me lo sarei veramente portato a cena.
Visto che non so bene come spiegarvelo, leggetelo. Dai.