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lunedì 22 aprile 2013

Io non ho capito


Allora io no, non capisco più. E mi passa anche la voglia di scherzare.
Io non ho capito quale cazzo di ragione avrebbe avuto il Pd a non eleggere Stefano Rodotà.
L'unico uomo che abbia mai visto contento di fare il Presidente della Repubblica. Non: onorato. Contento.
Non ho niente contro Giorgio Napolitano, se non che un uomo di quasi 90 anni avrebbe tutto il diritto di riposarsi, dopo un settennato politicamente orrendo, a cui a volte ha contribuito rifugiandosi nel Ruolo Istituzionale, facendo nascere il sospetto che fosse un alibi.
Non ho capito perché Bersani, dopo tutto il casino che ha fatto per fare del Pd un partito che non si allea con Berlusconi, abbia fatto il patto per l'elezione del Presidente. Non capisco, se di strategia si doveva parlare, perché la strategia del Pd sia cambiata. Io non ho votato per il Pdl. Non li toccherei neanche con un bastone. Forse neanche Bersani. Capisco quindi perché si sia dimesso. Evidentemente non comanda il Segretario, nel Pd.
Che poi il messaggio delle elezioni era: il M5S risulta il partito vincente, si è preso i voti che doveva prendere il Pd, quindi le posizioni del M5S sono in parte quelle della base Pd. Spostiamo un po' l'asse su una politica più cittadina, militante, meno palazzinara. Facciamo la tara alle puttanate che sparano loro sull'euro, e dritti alla meta. Non hanno voluto fare il governo con Bersani? Va bene, che se ne assumano la responsabilità. Ora eleggiamo un presidente che incarichi qualcuno che faccia quelle riforme, quelle stesse su cui si trovano sia Pd sia M5S: governo a tempo, poi vediamo se gli elettori pensano ancora sia meglio tenersi la Lombardi.
A me pareva semplice, il messaggio. L'ha capito anche Vendola.
Non capisco, dopo elezioni come queste, come si faccia a pensare a Giuliano Amato che orchestra un governo con il Pdl. Giuliano Amato. Così il Pd continua a dare ragioni a Grillo di dire quello che dice. E perde, oltre la base, anche i dirigenti.
Che poi di Grillo, guarda, te lo dico io, non bisognava avere paura.
Io che non capisco, e adesso non ne ho veramente più voglia, di capire, ti dico che non bisogna nemmeno avere paura di Renzi, dai. O di Berlusconi.
Il Pd deve avere paura di se stesso.
Perché se non sei abbastanza intelligente per riconoscere che il sentimento di chi ti vota ora ti fugge, vuol dire che hai fallito. Che devi davvero "andartene a casa". Ora, finché ce l'hai.

martedì 26 febbraio 2013

Una sberla salutare. Nel senso di ciao


Chi sa se a questo punto riusciremo a considerare salutare la scossa alla vecchia quercia, all'antenato fronzuto che si ostina a cacare ghiande invece di farsi Avatar e chiamare i suoi volonterosi compagni alla rivoluzione. Salutare, dico, perché si cominci a ritrovare la radice popolare dello stare a sinistra che è e deve essere una scelta di campo. Antifascista, egalitario, etico, rivoluzionario: la definiamo così, la faccenda?
Questi non sono invece i connotati del M5S, il cui impatto è contenuto tutto in quel titolo, Tsunami, che ora suona amaramente vero e azzeccato: il voto per il M5S si è abbattuto sul nostro comune, caro vecchio sentire, facendo macerie del consenso a sinistra (ma anche a destra: la Lega è sparita). E in questo occorre anche vedere il merito dell'attivismo civico, e non solo il pericolo populista. Però l'impatto del M5S non è calcolabile: chi andrà in Parlamento? Come reagiranno i cento e più signor nessuno (evviva! ma anche ommadonna) a un'eventuale proposta di Bersani, sui temi che pure accomunano tutti, soprattutto Sel, su legalità, acqua pubblica, noTav, F35 e altro? E il famigerato referendum per uscire dall'euro? E le condizioni di rinegoziazione del debito? Quali di loro saranno egalitari, etici, antifascisti, rivoluzionari? E quali invece sceriffi, manipolati, fascistelli, o anche solamente impreparati?
Poi, si leggono anche tante cazzate: il voto per i grillini non è un voto di protesta, ma di reazione. C'è una bella differenza: se protesti, metti la croce FUORI dagli schemi degli altri; se reagisci, metti la croce DENTRO un'altra voce. Se non si capisce questo, non si può comprendere quello che è accaduto. La gente che vota Grillo è perché vuole stare dentro qualche cosa, non vuole che altri prendano la parola al posto loro. E questo secondo me è pericoloso. A me la partecipazione diretta, non mediata dalla rappresentanza (certo, tutt'altra rappresentanza! vedi il post qui sotto) fa paura. La sola tentazione del presidenzialismo, in una democrazia immatura e culturalmente impreparata come la nostra, è pericolosa.
Scrivo, ma ancora stordito: la sberla (o se preferite il calcio nei denti) l'ho presa anche io, che pensavo che il Pdl faticasse a passare il 20%. Il mio (solito) errore: credere che si potesse resistere alla Grande Rimozione, che questa volta non si potesse dimenticare il Pdl stracorrotto, il sesso e la cocaina, l'umiliazione internazionale, l'avvilimento della cultura sotto Berlusconi. Quindi è vero: il disonesto, l'illegale, il mafioso piace. Tutti quelli che hanno votato Pdl riflettano su questo: oggi non potete dire "ma noi non sapevamo". E questa mi sembra la vera catastrofe del voto.
Non tanto il fatto che il M5S sia il primo partito. Piuttosto, il fatto che attorno a loro, che sono un'incognita, ci sia un altro terzo di mondo che mette la mano sulla coscia e non sulla coscienza.
E che quindi sia io, la causa persa.


martedì 19 febbraio 2013

Postilla: comunque aveva ragione Elio Veltri


Da sempre lo dice Elio Veltri: il problema resta quello di dare soggettività, democrazia interna e trasparenza ai partiti. Se no, ha più credibilità uno come Grillo.

Voto Etico in Regione e Sel in parlamento. Per Milano, consiglio Ferruccio Capelli o Giulio Cavalli

 
Un post ragionato ma spero non troppo lungo, per non prendere troppo tempo ai miei dodici elettori emmezzo.
Alla Camera e al Senato, la scelta è obbligata tra Pd e Sel. Per me Rivoluzione Civile non esiste: tanto era interessante il progetto iniziale, tanto orrendo il suo sviluppo, con l’arrivo di Ingroia e i partitini che si imbucano alla festa. Che tristezza.
Senza preferenze, chi cavolo dovrei votare? E ripeto, in Sel ci sono parecchi candidati indipendenti che voterei, in questo o quel collegio (Laura Boldrini, o Ida Dominjanni, Giorgio Airaudo, etc).
 
A chi vive a Pavia e non vota Pd/Sel, posso mettere la manina sul fuoco per Riccardo Puglisi, amico fraterno e bassista, economista e studioso dei media, che è una vita che è di sinistra ma deve aver visto qualcosa che gli piace in Scelta Civica per Monti. Non so cosa, eh, io quella roba lì non la voglio nemmeno vedere. Però posso almeno rendermi utile per chi vuole votare una destra almeno presentabile.
 


Alle Regionali, voterò Etico a Sinistra, per Umberto Ambrosoli. Mi piace molto il progetto di Andrea Di Stefano. Ma non darò preferenze.
Per chi di voi vive a Milano, invece, consiglio di scrivere qualche preferenza.
Se votate Pd potete scrivere Ferruccio Capelli, direttore della Casa della Cultura di Milano, che conosco personalmente e che sto aiutando in campagna elettorale: serio, leale, colto, tenace, di sinistra. Oppure Luciana Giruzzi.
 

 
Se votate Sel, invece, scrivete Giulio Cavalli.
 

giovedì 22 novembre 2012

una risposta a Suzuki-Maruti: Renzi non è quello che dici tu

Leggo il lungo ma interessantissimo post di suzukimaruti che compie una call-to-action per votare Renzi.
Per me è il tipico esempio di buona volontà del tutto incoerente con le scelte che propone: accanto a una lettura chiara e lucida delle cose, con cui posso non essere d'accordo ma che sono comunque degne di essere lette e discusse, leggo delle castronerie belle e buone, che lo fanno cadere sui soliti cliché.
Sintetizzo per punti, perdonate se taglio un po' con l'accetta.
- Prima di tutto, le parole sono importanti: social-democratico va bene per Bersani, per Vendola no e forse neanche per Puppato (beh oddio, questa è rivedibile: comunque si capisce la differenza, no? Vendola è anticapitalista, Puppato no ma dice comunque cose difficilmente assimilabili a quelle di Bersani). Andava bene per Prodi, che è stato un pessimo governo, anche se imparagonabilmente meglio di tutti i governi Berlusconi. Ovvio. E non va bene per Renzi, che è chiaramente liberista nelle sue proposte economiche.
- Se mai, il modello egemone è liberista, che non ha funzionato per varie ragioni ed è chiaramente la matrice dell'ultraliberismo (eccolo, questo è Blair) che ha innescato la crisi.
- Il socialismo, scusa, ma è proprio altra cosa. E non è mai esistito in Italia. Ed è precisamente il futuro di cui parli, perché si evolve, mica è quello di Calamandrei o Gramsci, o l'indegno di Craxi e dei suoi: oggi il socialismo è qualcosa che somiglia alla flexicurity, anche se  ha basi (purtroppo, al momento teoriche) assai differenti da quelle di cui parli tu. Per esempio, ci sono nuovi (questi sì, nuovi) modelli di economie solidali basate sul valore della qualità della vita delle persone e non sugli indici di mercato.
- La flexicurity o il modello danese o scandinavo funzionano là e non qua per l'evidente motivo che un terzo, dicesi un terzo dell'economia italiana è al nero e/o criminale; questo non permette nè la flexicurity nè altro, perché non puoi programmare risorse che non hai, perché stai lavorando su dati falsati. Risulta chiara, questa cosa, a Renzi?
- Ancora con 'sta storia che Prodi è caduto per il Prc: scusa ma questa è una delle peggiori cazzate che i dalemiani ripetono da anni, e Renzi dietro. Primo, un governo che si tiene su dieci voti è ridicolo, e cadrà comunque (lo scrivi anche tu). Secondo, non sarebbe caduto se avesse fatto una politica almeno efficace, ma la regia del genio D'Alema (il più stupido politico di sempre) ha impedito che si facessero le leggi che citi come critica al PD in fondo al post e che ha messo Berlusconi nelle condizioni di ricattare il parlamento per anni. Terzo, io un governo che fa la guerra non lo voto. E se mi vieni a dire che era meno guerra delle altre o che si doveva fare per 'soccorrere' il Kosovo, direi che ti sei perso qualche puntata.
- Utopie? UTOPIE? Ma Renzi dove parla di utopie, dove ti pare ispirato da una visione che vada più lontano dell'anno prossimo?
- Sinistra identitaria, destra/sinistra, Pd: sono d'accordo con te su tutto, ma allora non capisco perché voti Renzi. Renzi può cambiare il partito? Boh, forse. Ma si candida al governo del Paese, mica alla Segreteria del partito. Dove è scritto che Renzi ha anche le qualità di governare il Paese? Comunque, il Pd non mi riguarda. Non l'ho mai votato. E non sbavo per un partito al 40% che governi, nè per una democrazia bipolare. Un parlamento è un parlamento e deve rappresentare anche chi, pur non essendo d'accordo con me, potrebbe avere ragione. Strana democrazia è quella in cui uno fa politica per avere sempre ragione: si chiama populismo e il suo obiettivo è il potere e non il bene comune.
- Di nuovo l'anagrafe per dire che Renzi è il nuovo. Io ho 38 anni e sono partita iva dimenticata. E pur concordando con te sulla CGIL (che comunque, un argine a Berlusconi l'ha almeno formato, Renzi non è pervenuto, su questo), mi pare chiaro che il concetto di "nuovo" non sia SOLO e SOLTANTO parlare di tecnologie digitali. Bisogna anche studiare un pochettino e capire cosa sta succedendo e perché, delineare un'idea e una visione di società che si vuole formare e plasmare. Renzi non ha alcuna visione: Renzi dice di voler cambiare i nomi e gli strumenti, non parla mai di fini, di obiettivi. Qual è il centro della sua politica? Il cambiamento. Sì, va bene, ma verso dove? Questo nè lui nè nessuno dei suoi lo dice.
- In generale, penso che la cultura di un Paese debba crescere assieme, se non prima, del suo elettorato. Dopo l'abbruttimento sotto Berlusconi, io non posso tollerare che vi sia un cambio politico SENZA un cambio culturale. E Renzi rappresenta una cultura che NON è abbastanza diversa. La militanza per me ha questo senso: provare a cambiare le cose, giorno per giorno, nel proprio piccolo e nel proprio grande, verso una società di eguali. Una cosa enorme, un'utopia, una cosa (per me) bellissima.
Renzi è troppo poco, è troppo vuoto, troppo finto per colmare questo desiderio.

martedì 6 novembre 2012

Il sindaco d'Italia


Mi è venuto in mente mentre scrivevo un articolo sulle prossime elezioni: a Renzi non manca niente.
Ho letto il suo programma e l'ho trovato: serio, interessante, chiaro, concreto. Anche nei passi in cui non sono d'accordo. Ma non ho letto niente di nuovo.
Ho sentito i suoi discorsi e letto le sue interviste. Ho letto anche l'opinione di chi gliene dice anche troppe. Per esempio, la rottamazione è un concetto che funziona. Che rende l'idea. Che ha un suo momento per essere espressa. Inutile stare lì a dire che non si dice e non si fa.
Però è roba che serve al Pd: troppo poco per fare il Presidente del Consiglio.
Il suo (certo non nuovo) format (copyright Giorgio Gori) è efficace. Le sue piazze sono stracolme. Partecipate. Energiche. Non ha senso attribuirgli per questo il culto per il personalismo, o rinfacciargli i tanti soldi ricevuti dai suoi sostenitori. Se Renzi è popolare, e Bersani probabilmente non potrà nulla contro la sua visione un po' più attuale e un po' meno distante dalla base, sarà anche un segno dei tempi.
Eppure tutto questo ha una matrice che in tutto risolve e che tutto consuma: lui stesso, che prima non c'era. Il suo programma è quello di un sindaco d'Italia che farà bene l'amministratore d'Italia, che governerà perché si è preparato bene per le elezioni. Non è il programma di uno che ha delle idee, visione del mondo, impronta politica. Bersani ce l'ha, ma è vecchia e non regge più. Ce l'ha anche Vendola, ma con lui proprio non si riesce a uscire dal recinto della predicazione.
Renzi Matteo propone Matteo Renzi, tutto qui.
Certo che è un passo avanti. Rispetto ai D'Alema e ai Veltroni, certo, ci mancherebbe.
Ma per andare dove?
Io questa volta ci penserei due volte prima di scegliere il nuovismo per il nuovo.

mercoledì 23 maggio 2012

10 domande sul vivere a Pavia



Mi è venuta voglia di chiedere a quanti ne sanno più di me che idea hanno di Pavia.
Di come si vive, di cosa c'è. Di cosa manca. E allora seguo la corrente dei tempi e la butto giù in 10 domande.
Rispondete quello che volete, l'unica risposta che non tollererò è: “Non ci sono i soldi”.
  1. Perché a Pavia la domenica non si puliscono le strade, i giardinetti, i parchi? Eppure è il giorno in cui la città si specchia in sé stessa.
  2. Che fine hanno fatto i progetti di bonifica delle aree ex industriali – superfici su cui costruire cose di cui Pavia ha urgente bisogno: una palestra comunale, un auditorium con sale prova, parchi e giardini, musei, scuole, ostelli etc.
  3. Perché nuove aziende di servizi a basso impatto ambientale dovrebbero investire su Pavia, se l'obiettivo resta riqualificare le aree attirando lavoro e quindi nuovi residenti? Ci saranno incentivi? Di quale tipo?
  4. Perché non si hanno da tempo notizie di un progetto di recupero dell'alveo del Ticino?
  5. Perché San Michele (solo per citare la più antica e prestigiosa delle nostre chiese) non è adeguatamente protetta e valorizzata da enti e istituzioni internazionali?
  6. Perché a Pavia non esiste un centro sociale comunale, o anche privato, sul modello delle arci toscane o emiliane?
  7. Qualcuno hai mai fatto - magari, l'Università - uno studio di urbanistica con simulazione di traffico a Pavia, per decidere le strategie di fuga dall'auto e dal petrolio in vista di un futuro Prg?
  8. Perché non si convincono i tanti proprietari di case a mettere a disposizione – dietro incentivo fiscale comunale – tot numero stanze o appartamenti a canone di affitto sociale? Meglio che vendere, o lasciare andare via, no?
  9. Perché l'Università, che potrebbe essere un motore economico assai più incisivo, sembra sempre un corpo estraneo in città? Cosa serve, perché sia inserita come soggetto promotore, come Campus, come polo di attrazione?
  10. Chi comanda a Pavia? Quali sono i partiti, e quale idea hanno di Pavia? Se ne sono accorti o no, che siamo alla fine della storia? Che è ora di pensare a un altro sistema di rappresentanza, a un altro fare politica, a un altro vivere?

L'innocenza di Giulio (Andreotti)


No, non è un caso che lo posti oggi, 23 maggio.
Il libro di Giulio Cavalli, che ho letto d'un fiato all'indomani della presentazione che ha fatto al Collegio Ghislieri qui a Pavia, è una interpretazione. Teatrale? No, no: civile.
Ripercorre fatti e persone con una sintesi e limpidezza (e facilità di scrittura) che meriterebbe un'edizione tra i favolosi Bignami che frequentavo al liceo: tante notizie, soprattutto un quadro d'insieme, una visione chiara e documentata.
Tema? Andreotti. Avete presente Toni Servillo, no?
Ecco, quello.
Talmente gigantesco che anche ne Il Divo se ne avverte solo una piccola, piccola parte.
A me gli scrittori e i teatranti e i giornalisti che usano il loro linguaggio e il loro talento per farci capire cosa è successo, sono sempre molto simpatici.
Lo avevate dimenticato, scommetto, come ho fatto io: gli intellettuali è a questo che servono.

Leggetelo.

Amministrative del Grillo



Che amministrative del Grillo, sono state. E me ne accorgo adesso, con la vittoria di Pizzarotti a Parma, se no me le perdevo pure.
Perché, sinceramente, mi perdoni chi mi ha letto e ascoltato in questi anni difendere le elezioni turanaso come l'unico strumento che ci permette ancora di esercitare un qualche tipo di potere e comunque sperando di sbagliarmi, sono appassionanti come una puntata di nonno Libero.
Tranne forse quella di Pizzarotti.
Perché il populismo di Grillo va compreso e interpretato, non si può liquidare così. Antipolitica una bella e sonora cippa: la politica è morta, ha ragione lui. Ma questo non vuol dire che il Movimento 5 stelle sia il migliore dei futuri possibili. Anzi, io credo che sia pericolosissimo: è la mia allergia ai fascisti che me lo fa presentire. E anzi va combattuto.
Per combatterlo, però, non possiamo rinunciare a capirlo. Ha il suo ruolo storico ed è espressione di questo Paese. Che nel frattempo, capite, si addolora per le dimissioni di Bondi dal Pdl.
Mentre il governo Monti suicida la politica e Bersani pensa che, tutto sommato, non va poi male.
"Eccezionale" direbbe un mio caro amico.
No, ma voi DAVVERO pensate che si possa uscire da questa assurda e violenta crisi con le leggi e i metodi di quelli che l'hanno provocata?

martedì 3 aprile 2012

Cose che non sapevo sulle discariche di amianto


Dalla (ottima) inchiesta di Maria Luisa Pezzali per Italia in controluce (Radio 24) sul progetto di discarica di amianto in Lomellina, ho imparato:
- l'amianto può essere reso inerte tramite processi tipo vetrificazione; se ne ottiene un materiale innocuo da riutilizzare nell'edilizia, la tecnologia esiste da quasi vent'anni
- la discarica è inutile: oltre a far viaggiare egualmente la polvere durante lo stoccaggio (rischio ridotto ma non eliminato) seppellisce il materiale assieme al cemento - quindi non risolve il problema
- e allora perché facciamo le discariche? Dimentichiamo troppo spesso che sono affari molto, molto redditizi. Nessun trattamento uguale nessun costo uguale lauto guadagno
- c'è un'idea tossica in circolazione, secondo cui tutti i comitati che si oppongono alle discariche siano gente da "Nimby": ora, la Lomellina ha già ampiamente dato (per saperne di più, c'è l'inchiesta della Provincia Pavese)
- questo a poche settimane dalla sentenza Eternit e subito dopo la visita del ministro Balduzzi a Broni, per la Fibronit. Leggete cosa scrive Stefano Pallaroni qui
- a questi ineffabili amministratori che ancora discutono di discariche invece che di impianti di riciclo, si consiglia per lo meno di istruirsi su cosa significhi trattare svariate centinaia di tonnellate di fibra di amianto a 600 metri dalle case. Se non di farsi un giretto in Oncologia per vedere cosa può fare un mesotelioma pleurico a una persona - una cosa così, no, non si augura a nessuno.

Per la cronaca, la seconda parte dell'inchiesta di Maria Luisa Pezzali va in onda oggi.

giovedì 29 marzo 2012

C'è grande confusione sotto il cielo

La Fornero va da Fazio e dice cose. Poi leggo qui, e altrove, e m'incazzo. Il governo tecnico ha bisogno di operazioni d'immagine? No, il governo tecnico ha bisogno di essere efficace. Dovevamo digerire tutto, perché tutto è meglio di un Berlusconi-penta. Chiaro. C'è una maggioranza politica che non ha alcun interesse a chiudere la partita coi 'tecnici', anzi li vuole candidare. Quindi, perché? Soprattutto: ma cosa cazzo c'entra l'articolo 18 con questa riforma? Nessuno ancora è riuscito a spiegarmelo. Cosa c'entra il reintegro - e il suo potere deterrente - con la riforma dei contratti, la flexicurity e l'amor di patria? E perché quel teatrino odioso sulla equità, se le riforme non toccano gli statali?
Lo zio Monti terrorizza l'Occidente dalla Corea: se il Paese non è maturo, ce ne andiamo. Ma non diciamo cazzate, qui di riforme non se n'è ancora viste. E i piagnistei sulla crescita da preoccupanti sono diventati allarmanti: dove sono gli investimenti su innovazione e ricerca, su ambiente e sulla cultura? E intanto ci pensate, a come fare una pianificazione e un piano di sviluppo per lo meno biennale se non quinquennale, o no? Dici "ma possibile che non si accorgano che con i tagli solamente peggioreremo la situazione?". Embè ma certo che lo sanno, proprio per questo che il silenzio ci pare incredibile. C'è qualcosa che non sappiamo.
Il governo scade come uno yogurt. Bene, e allora andremo a votare. Con quale legge elettorale? La desertificazione dei partiti, ignobili nel comportamento fino alla nausea (Lusi e Rutelli a sua insaputa, Formigoni divo degli inquisiti e "il partito degli onesti" di Alfano - l'avesse scritto non dico Sciascia, ma Antonio Albanese sarebbe stato un bestseller assoluto), si incontrano per parlare di riforme costituzionali (il Senato delle Regioni? Orpo!) e di legge elettorale. Notiziona: si sono messi d'accordo. Ah ma allora non sono tutti casta e chiesa, dai che forse questa volta... no, manco questa volta. Anzi, è proprio una presa per il culo.
E meno male c'è Il manifesto della cultura su Il Domenicale, c'è lo sciopero generale, c'è il Manifesto per un soggetto politico nuovo che adesso mi leggo e poi ne scrivo.
E nel frattempo stiamo messi sempre peggio: c'è grande confusione sotto il cielo ma la situazione non è per nulla eccellente.

lunedì 30 novembre 2009

Con D’Alema-Wolf, il PD è morto (e nemmeno tu, elettore del PD, ti senti tanto bene)


Se non lo dice nessuno, lo dirò io: D’Alema è uno dei più nefasti imbecilli che la politica italiana ricordi. È proprio stupido, politicamente stupido. Eppure comanda - il che la dice lunga sullo stato dei tempi attuali. Nonostante abbia perso tutto quello che si poteva perdere in termini di consenso elettorale, con e senza Veltroni, è tuttora considerato la carognetta intelligente, il fine stratega, il professionista che sa fare il lavoro sporco – come la Bicamerale, la rinuncia a trattare il conflitto di interesse, le avventure di Telecom, le scalate bancarie, per tacer di cose più serie come l’incredibile partecipazione italiana alla guerra umanitaria dei Balcani.
E non solo comanda. Il PD di Bersani, nuovo a tal punto che riconferma tutti i dirigenti delle passate edizioni di “Come ti scendo sotto il 20% unendo due partiti che insieme valevano il 40%", tra cui Violante (Violante! Quello che ha appena candidamente affermato che democrazia e legalità sono due cose diverse, da non confondersi, etc) e Fassino (Fassino!), lo manda a risolvere la grana Vendola.
In Puglia Vendola, nonostante i guai della sua Giunta, ha governato bene ed è uscito da tutte le inchieste. Bene. Dice di volersi ricandidare, perché vuole concludere il lavoro iniziato. Benissimo. Dice che, se deve fare accordi con l’Udc perché il Pd l’ha fatto o lo sta facendo ovunque in Meridione in vista delle prossime Regionali, lo faccia pure. Lui ci ha provato, ma l’Udc ha chiesto al PD la sua testa, quindi. Quindi, dice Vendola, se volete proporre un candidato migliore di me, bene: Primarie, e vediamo che succede.
Il PD sente la parola Primarie, e mette mano al portafoglio: scherziamo?
Così mandano in Puglia il Wolf di Gallipoli, che bussa alla porta e dice: “Buongiorno, sono D’Alema, io risolvo problemi”. Bene, dicono in Puglia, qual è la soluzione? Semplice, dice lui: candidiamo Michele Emiliano, dalemiano e primo sponsor politico di Vendola, sindaco di Bari eletto anche grazie all’Udc. Così alle Regionali c’è anche l’Udc e vinciamo.

A Bari trasecolano: ma sei scemo? Vinciamo Bari in un’elezione in cui abbiamo perso tutto, è una specie di miracolo che si regge su equilibri da trapezista, e smontiamo una Giunta col rischio di perdere città e Regione in un colpo solo?
Poi, impietosi, i giornalisti gli chiedono del Lazio, e D’Alema-Wolf risponde con sorrisetto sardonico: io vedrei bene Zingaretti. A Roma trasecolano: ma allora è vero che sei scemo! E qui, dopo aver perso Roma e aver appena fatto cadere il Lazio, adesso rischiamo di giocarci anche l’unico che ci è rimasto, Presidente della Provincia di belle speranze?
Un elettore PD che, dopo aver appreso cosa ha combinato il suo partito non andando a votare la fiducia contro lo scudo fiscale due volte di fila, dopo aver visto Violante e Fassino con incarichi nel partito, dopo aver annuito seriosamente alla colossale imbecillità di Bersani e Bindi (secondo cui le manifestazioni si fanno in casa, sennò si perde in prestigio) si trova a osservare il gruppo dei vendoliani sgretolarsi alla pressione di Wolf-D’Alema che, a colpi di vere e proprie insostenibili cazzate, col curriculum di amarissime sconfitte che si ritrova, convince tutti che alle Regionali si vince solo con l’Udc.
E quel che è peggio è che nessuno si chiede: ma che cazzo di senso ha allearsi con Casini? E se anche si vince, cosa che non è affatto detta, poi, scusate, ma chi governa?

mercoledì 18 novembre 2009

Pavia, è cominciata la guerra dell'acqua


Notizia: lo sapevate che la Provincia di Pavia è stata la prima a indire una gara per la privatizzazione dell'acqua? E che la gara indetta dall'AATO non è regolare, perché c'è un unico concorrente (la multinazionale francese Veolia) e non sussistono sufficienti garanzia per la tutela della qualità dell'acqua?
No? Bene, sappiate che si stanno raccogliendo le firme - ed è cosa serissima, e le firme sono tante - per fermare questo scempio.
Le ragioni per firmare sono tante, e le trovate dove volete. Su
Il Manifesto di oggi (il link lo pubblicherò domani) ci sono articoli che spiegano chi è Veolia e cosa fa in Italia (e quali danni ha fatto in Francia).
Per ora pubblicherò questo estratto dall'articolo di Paolo Ferloni e Alberto Ferrari pubblicato su insiemeperpavia.splinder.com che meglio di tutti spiega qual è l'inganno sostanziale dell'affidare a privati la gestione dell'acqua (il grassetto è mio -ndZ).

L’acqua si può considerare il paradigma dei beni comuni: è indispensabile per la vita ma è anche un bene che si può disperdere e deteriorare facilmente. Una volta inquinata i costi per renderla potabile diventano molto alti. Gli economisti classici - meglio sarebbe chiamarli conservatori alla luce degli studi della Ostrom - sostengono che la gestione dell’acqua dovrebbe essere affidata al libero mercato, perché essa avrebbe valenza economica e solo trasformandola in una merce (per consumarne di più occorre spendere di più) si può raggiungere una efficienza gestionale ed un equilibrio tra domanda ed offerta, evitando gli sprechi.
Essi sembrano dimenticare che il mercato per definizione vive sull’incentivazione al consumo e non viceversa. Tale approccio porterebbe a trasformare l’ acqua in un bene scarso per i poveri e abbondante solo per chi può permettersi di spendere di più, come di fatto già avviene in gran parte del mondo con gravi conseguenze, come malattie, malessere e rivolte sociali.
Chi già venti anni fa ha affidato la gestione dell’acqua al privato, come in Francia, ora, di fronte a tariffe sempre più alte e a gestioni non proprio virtuose, sta facendo rapidamente retromarcia. In questi giorni il sindaco di Parigi sta disdettando i contratti ventennali in scadenza, in modo che la città possa riappropriarsi della gestione dell’acqua.

Semplice, no?
(Le informazioni per firmare, sul blog di insiemeperpavia)

venerdì 13 novembre 2009

Animo, Bersani! L’opposizione è scontro, non confronto


Lettera da un Cipputi qualsiasi - di Armando Barone

Eh no, caro Bersani, cominciamo male. Lei mi parla di “confronto” per allontanare lo spettro del veltroniano “dialogo”. E visto che le parole sono importanti, dato che la stampa si affanna a darle credito come autore della cesura tra la sconfitta e la ricostruzione del PD, le rispondo: il confronto non mi basta. Se davvero ha in animo di mettere il lavoro al primo posto, se davvero vuole tornare all’azione parlamentare, caro Bersani, la parola giusta è “scontro”.
Qual era l’errore di Veltroni (e più ancora degli elettori del PD, chissà perché innamorati della sua faccia colta e dei suoi accenti kennedyani – pazzesco, ne convengo, ma guardi che gli elettori sono disperati)?
Pensare che essere moderati significasse essere ragionevoli, offrire il dialogo; così poi, dichiarato impossibile il dialogo con quella destra, si potesse dire “beh noi abbiamo la coscienza a posto”. Pensare che essere dialoganti avrebbe dato un’identità al PD agli occhi dell’elettorato, l’avrebbe reso distinguibile dalla morchia abbaiante della destra; che sentirsi e affermarsi diversi desse in pasto agli affamati d’opposizione bocconi di svolta, antipasti di un governo di svolta; che il vostro partito avrebbe preso forma e coesione intorno a questa svolta.
Nel mio lavoro la chiamiamo campagna immagine, caro Bersani. A casa mia, invece, si dice essere dei gran paraculi.
E ora le spiego perché lei, ben più serio e concreto di Walter l’Africano, stia compiendo esattamente lo stesso errore. La differenza che vuol fare lei, Bersani, è di riunire le opposizioni e riportarle in Parlamento – dopo l’osceno balletto della fiducia che non siete andati a votare per ben due volte, è impresa ardua, ne convengo. Così crede di recuperare consenso. Se la strada è il confronto, è la strada sbagliata: confronto presuppone che ci sia un interlocutore, un terreno, delle argomentazioni.
L’interlocutore: no, ma veramente nel PD c’è ancora qualcuno che crede che queste destre siano un interlocutore? Se sì, guardi, glielo dico con sincerità e senza astio: cambiate mestiere. Ha presente chi è Giovanardi? Brunetta? Ghedini? Li conosce? Come fa a frequentarli? Io avrei paura di incontrarli in un vicolo buio. Ma non perché ho paura di loro, ma perché non mi fiderei di me stesso. E se poi mi viene voglia di sputare loro in faccia? Di tirar loro un ceffone? Brutta cosa, sprecare la mia buona educazione così.
Dirà lei, va beh, ma la politica è questa. Si va in Parlamento per questo. Ecco, proprio qui volevo arrivare. Il terreno di confronto: ma lei veramente crede che queste destre, che le leggi se le scrivono in villa e tutto il resto, vengano in Parlamento ad amministrare il Paese? Forse gli aennini, ma guardi, sono pochi e sono ostaggi. Qualche Udc, possibile. Pochini, no?
Argomentazioni: ma veramente lei crede che si possa argomentare qualsiasi proposta di riforma istituzionale con questa gente, e a parlamento svuotato, e senza un cazzo di euro per farla? Lei davvero crede che si possa governare un Paese con un’evasione fiscale e un sommerso criminale che vale il 30% del Pil? Anche se vinceste dieci elezioni di fila, non potreste emanare una sola, maledetta, fottuta legge con copertura finanziaria, senza mettere mano a questa enormità. E per questo lo dico a lei: ma l'economia non è il suo terreno? Come fa a non rendersi conto della situazione? E guardi che per legge intendo qualcosa che serva, non le pagliacciate di Berlusconi. Di fronte a questo, la vostra iniziativa è paralizzata. Nessuna legge è possibile senza soldi, senza Parlamento, senza un interlocutore che abbia voglia di governare.
No, Bersani, guardi. Lasci perdere il confronto. Qui ci vuole lo scontro. Il suo e vostro errore più grande, eredità di Veltroni e di Prodi, è stato quello di rimuovere l’esistenza di qualcosa che si chiama conflitto sociale e che lei dovrebbe conoscere bene. Non le sue cause, ché l’analisi avrebbe prodotto l’alternativa che non c’è, che non siete, e che non sarete. No, altrimenti saremmo già un passo avanti.
Non avete capito che questa è l’era dei conflitti, in cui le destre terrorizzate dal perdere un capo populista che vale il 35% alle elezioni, a sua volta terrorizzato dalla Giustizia che chiede il conto delle sue azioni, è andata all’attacco di tutto – e gliel’avete lasciato fare. Non lo neghi, per favore. Ricordo ancora il Veltroni in malafede rintronare chiunque con la storia del voto utile, una menzogna degna della peggiore destra d’apparato. Vi ha fatto comodo togliervi i comunisti dai coglioni. Anche se credo perfino Prodi possa avere avuto qualche dubbio su Mastella (Mastella!) e Dini (Dini!).
Padroni contro lavoratori, Esecutivo contro Giudiziario, Potere economico contro informazione. Tutti contro gli immigrati. Polizia e Carabinieri contro chi guadagna come loro e porta avanti lotte anche per loro. Continuo?
Non potete stare a guardare, dicendo: “Le manifestazioni si fanno insieme”, “La sede del dibattito è il Parlamento”, “Le riforme si fanno se sono serie, se no non ci sediamo al tavolo”. Non mentre la domanda disperata di opposizione, il grido feroce della coscienza civile vi sovrasta. Che cos’è questo, se non fare un nuovo, più sofisticato, Aventino?
Bisogna rimettere mani alla piazza, anche con Di Pietro e anche con la Cgil. Bisogna andare davanti alle fabbriche al fianco della Fiom. Stare coi volontari delle associazioni che difendono i migranti dallo sgombero. Dimostrare solidarietà ai magistrati, andarlo a spiegare in piazza, non solo in tv, in cui passa qualsiasi cazzata si dica. E il Parlamento, se gli altri non ci vanno, occupatelo. Occupate la Rai. Rischiate la faccia, rischiate il manganello, rischiate di sporcarvi le mani.
A la guerre, Bersani, o non morirà solo lei, i suoi, il partito. Morirà il lavoro, e la dignità faticosamente conquistata in cento e più anni di lotte operaie. Moriranno i tanti Cipputi come me, che non sono solo operai ma la dispersa e varia forma dei lavoratori disperati, e che non vi voteranno mai finché vi renderete complici della morte per asfissia della Repubblica.

mercoledì 28 ottobre 2009

DONNE (ma niente dududu) / parte 10



Non farmi la morale, baby

La scomparsa della pubblica opinione, l’imporsi delle subculture gonfiate a steroidi, il disorientamento del femminismo, l’ignavia e il silenzio del mondo intellettuale (i maestri, dico, dove sono finiti i maestri?): ecco come si può arrivare a un panorama tanto desolante. E poi c’è chi dice: “Ma chi sei tu per farmi la morale”.
Ecco, questa è cosa che fa gonfiare le vene al collo. Di solito te lo dicono di Berlusconi: non me ne importa nulla di quello che fa nel suo letto. La risposta va in automatico, e sembra una battuta: non è il suo, è il lettone di Putin.
È il Presidente del Consiglio, quel tizio bassetto e antipatico, è l’uomo più potente d’Italia, l’uomo che governa, anzi diremo comanda, e che tiene per le palle il nostro futuro. Cos’è, è diventato troppo pretendere che un eletto dal popolo sia per lo meno una persona per bene, se non proprio capace?
Maddai, non facciamogli la morale. Ci sono cose più importanti da rimproverargli. Sospetto di collusione con mafia, corruzione accertata, reati economici, etc etc. Quattro governi di crescente pericolosità sociale e diminuzione di diritti e libertà. Danni economici da Prima Repubblica. Al confronto, se si comporta da puttaniere, come tanti altri uomini di potere, è quasi normale.
E qui le vene scoppiano: come dire che, al confronto della rapina a mano armata, la mano che ti fotte il portafoglio è niente. E allora, che facciamo, la lasciamo passare? Proprio tu, donna, non prendi fuoco a sapere che, per perdonare oscurare sviare l’attenzione dalle sue figure di merda internazionali, un coro di volgari servi ripetano a reti unificate che trattare così le donne è una bazzecola? Che ora si può, anzi si deve, perché in fondo in fondo, a ben vedere, milioni di Italiani sono come lui?
Le ripercussioni di questo messaggio a reti unificate le lascio volentieri ai sociologi, ma non vedo perché dovrebbe sfiorarci appena, anziché colpirci come una schicchera sulle orecchie gelate, sapere che l’Uomo Esempio di Successo, oltre che disonesto, è pure scarso a rispetto per la donna.
Smettiamola, donne e uomini, di pretendere poco perché nessuno è senza peccato, e ai peccati grandi ci pensa Dio o Chi Ne Fa Le Veci. Di aver paura di parlare di etica e anche di morale. Se vogliamo un Paese a nostra immagine e somiglianza, ci riapproprieremo delle reali dimensioni della vita comune, del valore della convivenza civile, del progresso umano, della sana eterna guerra tra sessi. Dei nostri progetti di famiglia, qualunque siano. Lasceremo il tubo catodico e la noia satellitare o digitale nell’ambito che a loro compete: l’intrattenimento. Torneremo a chiederci chi possiamo votare senza avere un moto di rigetto.
Prepariamoci a difendere i nostri figli da queste aggressioni subculturali. Prepariamoci allo scontro, ai prossimi conflitti culturali e sociali. Non sia mai che, ogni tanto, se ne possa vincere uno.

(fine - ottobre 2009)

DONNE (ma niente dududu) / parte 9


Il fine giustifica il medium

Tuttavia, qui il dubbio è che la tv non sia neanche più un medium, un mezzo, ma un fine. L’impressione è quella che non ci si appelli neanche più, alibi passepartout, al dio mercato. Arrivarci, esserci, porsi in vetrina, dai politici dimenafogli alle letterine dimenaculo, significa giocare nel giro grosso. Non è più apparire, ma un essere. La realtà televisiva diventa, per prodigio dell’oligopolio Rai/Mediaset e dell’offerta omologata, realtà condivisa dalla coscienza collettiva. Non l’unica, certo, ma comunque egemone. E se la morchia maschiocentrica passa come realtà egemone, in pari dosi attraverso la cronaca e attraverso lo spettacolo, bene si può capire come faccia ad avere tanta forza di penetrazione.
La realtà e la tv sono oggi vasi comunicanti di un liquido venefico. E contro quel liquido vi è poco o nulla a fare argine. Che fare? Ribellarsi, certo, ribellarsi.
La tv è un mondo irriformabile nell’era di Berlusconi, e così la politica. Per invertire la sovrapposizione dei due mondi, dovremmo ribellarci a entrambe. Per farlo, serve la dispersa ma veemente forza degli intellettuali, la libera critica nell’informazione (Il Fatto Quotidiano è un nuovo, buon esempio di redazione ed edizione affrancata dall’oligopolio, mentre Il manifesto ne è l’esempio storico) e, naturalmente, dalla realtà. Quella non televisiva. Quella in strada, in piazza: i soggetti sociali che hanno confidenza con l’azione e la vocazione al conflitto. Sì, credo proprio che la speranza possa venire solo dai nuovi e aspri conflitti sociali che questa tv autoreplicante e questa politica autoconservatrice nascondono, minimizzano, ridicolizzano. Nuove domande potrebbero essere: il femminile è pronto al conflitto? E il maschile? E tutti e due, tre, cento mondi senza distinzione di genere, sono attrezzati e disposti ad aprire le ostilità? Materia per un altro articolo, temo.

(segue)

DONNE (ma niente dududu) / parte 8


Monnezza è mezza bellezza

Non è solo televisione spazzatura. Non è solo questione di bellezza-merce: non sono così ingenuo da pensare che la bellezza (naturale o patinata o siliconata, triste o allegra o bronciodipendente) debba scomparire dalle copertine o dalle pubblicità o dagli ancheggianti e poco vestiti corpi da corpo di ballo. Che la bellezza del corpo umano, e quindi per ovvi motivi del corpo femminile, serva per vendere, è un fatto e non vedo perché dovrebbe equivalere al servaggio. Tuttavia, la soglia del cinismo dovrebbe arrestarsi qui: la mercificazione del nudo, dell’identità e del sentimento ha una profonda influenza sul nostro immaginario.
Inciso: se per pubblicizzare un cosmetico posso mostrare un corpo nudo e così alludere alla seduzione, siamo nel campo della semantica e della promessa marketing – se ne può discutere, insomma. Se ogni quattro minuti del palinsesto ho uno stacchetto dimenaculo, ogni tre pagine labbrone tumide, una copertina su due apre con la gnocca, beh, abbiamo un problema. Non tutto può essere seducente. Ed essere educati a pane e sesso patinato, prima o poi, genererà pure qualche problema con la realtà. Fine dell’inciso.
Diamo troppo spesso per acquisito, se non per scontato, che la televisione sia un solo un mezzo, il più potente in Italia, ma pur sempre un medium. Non è proprio così.
Prima di tutto, se è ancora un medium, qualcuno deve avere libertà responsabilità diretta di forma e contenuti, e dare vita alla cosiddetta linea editoriale. Ed è fin troppo palese che in Rai (ma anche in Mediaset) questa libertà sia relativa: la televisione è oggi un mezzo eterodiretto, in cui l’editore non è mai completamente libero. E non tanto e non solo per la pressione telefonica del potere, come avveniva anche in passato, quando l’iperlottizzazione era una prassi egualmente deprecabile – anche se, va detto, più discreta. Quanto per la castrazione intellettuale a cui volontariamente si sottopongono editori, direttori di testata, direttori artistici e così via. E dico castrazione perché a volte non è nemmeno censura o autocensura preventiva: chi ha la responsabilità dei palinsesti e dei contenuti, dal più alto livello dirigenziale all’autore in stage non pagato, è immerso come noi nella morchia generalizzata. Che se ne renda conto o meno. E se il clima aziendale peggiora, si salvi quel che si può. Si innesca, insomma, un circolo vizioso per cui chi non è in grado o non vuole ribellarsi alla monnezza contribuisce alla crescita della monnezza, che viene venduta per bellezza.
Col risultato che anche il pubblico più avvertito trova un’offerta poco diversificata - e di qualità ad altezza gnocca.

(segue)

DONNE (ma niente dududu) / parte 7


Abbasso le quote rosa

Tanto per fare un esempio, le quote rosa: terrificante sintomo di malattia scambiato per rimedio per la buona salute in politica. D’accordo, la pari dignità stabilita per Costituzione non bastava, però il pari numero per legge o per gentleman agreement non ha niente di etico: è lavarsi la coscienza. A pensarci bene, le quote rosa sono lo speculare di un’altra, fenomenale (nel senso di prodotto di un fenomeno) cazzata: la par condicio. In un Paese libero, la par condicio si raggiunge attraverso le comuni dinamiche del conflitto politico e di opinione, non col pari numero certificato a posteriori.
Soluzioni a quanto il sesso politico richiede – intendendo con questo il complesso di temi che vanno dalle pari opportunità nel lavoro, alle leggi sulla violenza a sfondo sessuale, all’aggravante di discriminazione per orientamento sessuale che recentemente ha messo alle corde il PD – verranno invece da una politica familiare (non: familista come quella dell’Udc o elettorale come quella del Pdl) che sostenga la maternità, costruisca asili nido, accresca le possibilità di sostegno al reddito, riconosca le famiglie di fatto e ricomponga le famiglie dei migranti, sperimenti nuove forme di assistenza alle vittime di violenze o soprusi. In una definizione, che si identifichi con la società.
Mi piacerebbe che non ci fossero dubbi su questo. Se il maschio continua a occuparsi poco dei figli, è materia per i sociologi; se la donna nel 2010 non riesce a trovare o a mantenere il posto di lavoro perché le si impone la scelta tra tempo familiare e tempo professionale, se viene pagata meno di un uomo a parità di livello, la materia è per legislatori.
Se una politica seria, di alternativa, potesse proporre questo, sarebbe già qualcosa. Poi toccherebbe alla televisione, far la sua parte. E qui il discorso ridiventa politico. Le frequenze, il mercato pubblicitario, il conflitto di interessi. Alle solite.

(segue)

DONNE (ma niente dududu) / parte 6


Nessuno si senta immune

Non che partissimo da un modello culturale consolidato. Il disimpegno, la fuga dalla politica, il riflusso già negli Ottanta avevano impedito a questo Paese culturalmente fragile e arretrato di superare la sua tardoadolescenza sociale e politica. Tuttavia, le conquiste fondamentali dell’emancipazione non si sono mica dissolte. Sono sempre lì, pur minate e attaccate, resistono. Congelate in attesa che qualcuno si ricordi che, uomini o donne, di persone e di uguali sempre si tratta.
Non sono cambiate le risposte, ma le domande. Le domande da porre all’universo femminile non sono più: come può una donna vendere la propria compagnia come lavoro in cambio di un esercizio di potere; come può una donna (ragazzina) intendere il suo sputtanamento globale come l’opportunità di realizzare il sogno di velina, di fare il colpo grosso. Di donne fatte come son fatte non c’è da stupirsi, e non c’è da sottendere giudizio.
Piuttosto: come fa una donna a votare questa destra? Ammirare la gentaglia che gioca col suo corpo o del suo corpo fa un campo di battaglia elettorale? Questa Chiesa? Poi: come fa una donna a non incazzarsi a morte con questa sinistra immatura e ripiegata su se stessa, sulla scoperta del potere?
Se escludiamo le sacche di resistenza di cui parla Asor Rosa, capaci ancora di produrre pensieri e modelli non balbettanti, il pensiero omologato a reti unificate ha abbassato progressivamente le difese di tutti noi, sconosciuti e silenti spettatori, anzi telespettatori, abbandonati dagli intellettuali di sinistra e di destra senza una chiave di comprensione del reale. O meglio, senza che altre chiavi di comprensione del reale s’impongano alla nostra attenzione e si radichino a tal punto da funzionare come antidoto al veleno machista.
Ed ecco il punto: per contrappeso e contrasto all’affermarsi di un nuovo patentino a offendere e umiliare, oltre le minoranze a bersaglio, anche il sesso presunto debole, ci sono rimasti antidoti spuntati e anticorpi sfiancati. Rendiamoci conto che il livello del dibattito corrente intorno al ruolo femminile nella società, alla disparità e alla discriminazione, alla violenza psicologica e fisica e sessuale, alla prostituzione, all’omofobia, alla laicità della scuola e nella sanità, è fermo su binari del tipo: quote rosa in ogni quartiere, sono gli arabi che picchiano le donne, burka sì burka no, le donne sul lavoro va bene ma come la mettiamo coi figli, via le prostitute dalla strada, ma guarda che io ho molti amici omosessuali, crocifisso a scuola sì o no, l’aborto sì ma riparliamone (e per il riparliamone il debito è con un altro genio, Paola Cortellesi). Agghiacciante. È come mettere all’ordine del giorno in Parlamento il sommario di un tg Mediaset.

(segue)