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martedì 17 marzo 2015

Appunti per una recensione che non scriverò


Comincerò con il dire che non sono in grado di recensire il libro di Pietro Roberto Goisis “Costruire l’adolescenza” - neanche se per recensione intendiamo il solito consiglio di lettura. E non perché non lo consiglierei, anzi lo consiglio caldamente, ma perché non ho proprio la competenza per scrivere del cuore di questo libro, che è proprio il suo modo di fare lo psicoanalista con i suoi pazienti adolescenti. Un modo che ha dei padri (Senise, Zapparoli), che intanto così ho potuto conoscere, dei colleghi, dei metodi, dei risultati. Tutte cose che – è chiaro - non so giudicare con cognizione di causa.
Ne scrivo invece per sottolinearne tutti gli altri motivi di interesse.
Per esempio: io non sono abituato a leggere saggistica, e se l’ho finito vuol dire che mi ha proprio preso. E mi ha preso, oltre per i motivi di cui ai punti seguenti, perché è scritto per essere letto anche dai non-psico, il che è molto molto meritevole. Ma non si tratta di un libro ‘divulgativo’, eh! Tutta la parte di teoria l’ho capita a stento. Solo: è il racconto di un’esperienza, quindi di un percorso, che è piuttosto chiaro se – come in questo caso – l’autore riesce a farti apparire chiare le premesse da cui si parte.
Poi: Goisis apre il libro con la citazione (il testo intero, mica tre versi!) di La costruzione di un amore di Ivano Fossati. Detto che è una delle mie preferite di Ivano-Sul-Divano, il tutto è funzionale al senso del volume, che è proprio nel senso della parola “costruzione”, che è già nel titolo, e di cui dirò poi.
E ancora: l’autore dice fin da subito che lui lavora con gli adolescenti perché… perché gli piacciono. Gli piacciono proprio, come succede a me. Non solo perché sono problematici, quindi affascinanti, ma perché sono incasinati, feroci e dolcissimi; sono un microcosmo che si agita, un universo subito dopo il big bang, una lattina di coca agitata nella mente ogni giorno per dieci anni. E il loro sgraziato mal calcolare la vita è pieno di bellissimi errori e di stupefacenti strategie per uscirne. Anche solo per questo meritano tutta l’attenzione.
E poi ancora, sono padre, quindi tutto questo mi riguarderà.
E infine: nel libro ci sono un sacco di storie.
Storie, sì: casi clinici che mi fanno capire – vi faranno capire – di che si parla. E io ai casi clinici mi ci sono appassionato. Alla faccia del transfer e del controtransfer, leggendo il libro io tumultuavo dietro ai ragazzi citati e ai loro problemi. Mi ci sono trasferito dentro, ho abitato in quelle stanze dove il Nostro sedeva e li ascoltava. Invisibile, piccolo piccolo, ho fatto da spettatore.
Da quest’ottica, si capiscono almeno due cose – e finalmente veniamo al perché consiglio il libro: lo psicoanalista si “immedesima” nell’adolescente e costruisce una via di uscita insieme a lui (questo non è che l’ho capito io, eh, c’è scritto fin dalla prefazione), formando una specie di alleanza in cui i ruoli siano ben distinti. Niente surrogati di padre, o amico: niente di più e niente di meno che il terapeuta che ci tiene davvero, a farti risalire la salita, che studia con te, che non ti nasconde niente e che prova anche a farti capire i tuoi genitori (e ai tuoi genitori far capire te).
La cosa, se ci pensate, è bellissima. Cosa odiano di più, in assoluto, gli adolescenti? Che gli adulti ti “tradiscano”, cioè che ti raccontino bugie, anche solo per proteggerti. Degli adulti non ci si può fidare, anche se i tuoi li ami tantissimo. E poi che nessuno li ascolti, o li ascolti con condiscendenza, senza trattarli alla pari. Ed ecco qui la cosa affascinante: qualcuno che istituzionalizza a metodo di cura il credergli, il dargli fiducia, lo sceglierli come alleati e compagni di strada.
La seconda cosa. Dalle mie letture per lavoro già l’avevo più o meno recepito, ma qui è detto più chiaramente: i neuroni specchio, la plasticità neuronale, insomma quella roba lì… il fatto che il cervello di un adolescente sia ancora in formazione. (In costruzione!). Ossia, il casino di cui parlavo prima si riflette nella struttura stessa del cervello. Quindi quando il terapeuta cura la sua mente, cura anche il suo cervello. Le sue cellule. I suoi collegamenti.
Che poi da alcuni anni, se ho capito bene, è questo che sta succedendo, nel mondo della cura della mente.
Ultima ultimissima cosa, in fondo al suo saggio Goisis consiglia un libro, un film e un disco. E li racconta proprio, una specie di appendice al suo personale viaggio della memoria professionale.
Il film che consiglia è Noi siamo infinito, e l’ho visto, e mi è piaciuto tantissimo, per un sacco di motivi che troveranno spazio in un altro post. Diciamo però che è stato un ponte, questo, tra me e quest’oggetto libro. Che ora mi guarda dal comodino, pieno di segnalibri lasciati sui punti che mi va di rileggere.
Rileggere, sì. Proprio io che non leggo saggi.

martedì 5 agosto 2014

Ha ragione l'Ottolina


Pensiero a margine della lettura di Una commedia italiana di Piersandro Pallavicini, romanzo di cui si è scritto già molto bene (e di cui non scriverò perché non aggiungerebbe nulla al piacere di scoprirlo).
Insomma, a un certo punto c'è l'incomparabile Ottolina (memoria della cartoleria pavese? chissà), amica della protagonista e voce narrante Carla Pampaloni, che da ragazza, in preda a trance musicofila o da sostanze psicotrope, è in prima fila al Marquee Club di Londra e riesce addirittura a dettare a Fish, leader dei Marillion, la scaletta dei pezzi, ricevendone alla fine perfino un bacio in fronte.
Beh, allora qui dissento dalla Carla, che bolla i Marillion di Script for a jester's tear come new prog epigone dei Genesis. Mh-no, dai, troppo facile: già è odiosa l'etichetta di new progressive, e poi si è mitizzata un po' troppo la 'figliolanza' di Fish rispetto a Peter Gabriel. Per carità: l'orso scozzese ha copiato all'arcangelo Pietro Gabriele sia le maschere sia lo stile in falsetto, però la musica dei Marillion è veramente troppo anni Ottanta per essere solo 'epigone'. Un po' di originalità a Derek (vero nome di Fish) la lascerei.
Ieri facendo le pulizie mi sono immerso in Script e ragionavo quanto di anni Ottanta c'è in quel disco: la chitarra tamarra (ma dal suono pulitissimo) di Steve Rothery, le tastiere onnipresenti, i testi così intimi e adolescenziali, le copertine (iiiih!)... e poi se senti pezzi come Forgotten Sons - il pezzo impegnato, di denuncia contro la guerra - non puoi non pensare che, sì, epigoni quanto vuoi ma questo resta un gran pezzo, in un grande album.
Per questo dico che invece ha ragione l'Ottolina a sciogliersi come un gelato e alla fine farsi pure baciare in fronte, lei così bruttina e ha ragione Piersandro a immaginare Fish così dannatamente Fish: col cuore vicino ai brutti, ai rifiutati, ai malati d'amore, a quelli che si chiamavano sfigati, senza cattiveria e senza tentazioni di definirli nerd.

martedì 1 aprile 2014

A cena con Emilio Lussu


L'ho appena (ri)letto. Voracemente. Non so bene come spiegarvelo, ma: ho riso. Ho riso tanto. E non perché sia un libro che fa ridere - come può esserlo, un memoir sulla più grande macelleria del secolo scorso? - ma perché accanto alla dolorosa stupefazione con cui senti fischiare i proiettili e vedi con gli occhi di Lussu morire soldati in azioni insensate e barbariche, ci sono scene e personaggi (veri) meravigliosi. Che, nella tragedia, sono umani, terribilmente umani. Come il generale Leone che riesce miracolosamente a schivare a più riprese la palla dell'austriaco che finalmente lo spacci. Come il povero Marrasi che prova a disertare e non ci riesce mai. Come Avellini e Ottolenghi, l'innamorato e il ribelle.
Ecco, io uno come Emilio Lussu me lo sarei veramente portato a cena.
Visto che non so bene come spiegarvelo, leggetelo. Dai.

lunedì 17 febbraio 2014

Storie del Numero Due: The Flyer Duck Commando


C'è un castello. Dentro c'è la civetta che è prigioniera.
C'è una ragnatela fatta di corde fortissime.
E allora la papera volante vola e, con il suo alluce tagliente

??

taglia le corde. Perché lei ha un artiglio fortissimo. Poi mentre è lì vede che c'è anche l'aquila.
C'è una gabbia, legata a una corda, che è legata al soffitto.
E c'è anche la coccinella. Allora la papera volante pensa che deve salvare le sue amiche.

Allora fa pianissimo, che c'è silenzio. Così nessuna gente del castello la sente.
E va dalla civetta.
La civetta si alza in volo e con le ali tzac! taglia la corda, la gabbia cade, e si rompe.
Così l'aquila è libera.
Poi libera anche la coccinella, che si alza in volo con le sue elitre. E dice: grazie.

E allora vanno via dal castello, e la gente del castello non le trova più.
Ti è piaciuta?

martedì 4 febbraio 2014

Storie del Numero Due: A gothic duck tale - il ritorno della papera volante


Posso raccontarti una storia? C'era una volta la papera volante...

(applausi)

...che apre le ali e vola. A un certo punto muore. E un lampo la colpisce e muore.
Perché non ha visto i lampi.
Allora passa di lì un uomo. Un signore che la seppellisce. Fa una tomba... mette una pietra e fa il disegno di una papera che vola sopra.
Perché lei era al cimitero.

??

Lei era andata al cimitero. Per vedere se incontrava altri animali. Una coccinella, un ragno, un topo, una zebra...
Ma morti. Lei prende la pala e li vuole tirare fuori.
Perché per lei è facile farli vivere, poi.





giovedì 30 gennaio 2014

Storie del Numero Due: Real Time


Passa una volante con la sirena accesa al semaforo di Piazza della Minerva.

Guarda! Una macchina della Polizia dello Stato!
Si vede che ci sono dei ladri che rubano le statue.

- ?!

Sì. I ladri rubano le statue dal recinto. E la Polizia li insegue.
Loro guardano se c'è una macchina libera, salgono e schiacciano l'acceleratore. E la Polizia allora sale, schiaccia il pedale e accende la sirena.

Poi, con una pesca... no, con quel bastone che serve per pescare

- Una canna da pesca?

Sì, con una canna da pesca agganciano una statua. Nel bagagliaio.
I ladri provano a staccare la statua, ma non ci riescono.
E il poliziotto dice: "Questa me la prendo io! Ah Ah!".

Poi prende le manette, che c'è scritto sopra "Polizia dello Stato" e le lancia.
Le lancia, e... tlac!
Così cattura i ladri. E rimette le statue al loro posto.



mercoledì 15 gennaio 2014

Storie (della buonanotte) del Numero Due: Il carro armato blu


C'erano dei soldatini che dovevano passare su un ponte. Sotto il ponte, c'era il fiume con i coccodrilli.
E si erano portati anche il carro armato.
Un bel giorno il carro armato si rompe, e non riescono più ad aggiustarlo.
Così lo danno a un'altra squadra di soldatini. Cattivissimi.
E invece loro vanno in un negozio dove vendono i carri armati e comprano tre biglietti. Anzi quindici.
Uno di loro però rimane senza biglietto. Poi il cassiere ne stampa uno anche per lui, così possono comprare un carro armato tutto nuovo.
E quando li sconfiggono,

- ??

quelli con la maglia blu. Perché i buoni sono quelli con la maglia azzurra, invece quelli cattivissimi hanno la maglia blu.
E sai chi vince?
Quelli con la maglia azzurra.

- E il carro armato rotto, che fine ha fatto?

Quelli con la maglia blu hanno provato a farlo diventare cattivo. Ma lui, niente.

mercoledì 8 gennaio 2014

Certo che ne vale proprio la pena

Dell'auto-motivazione, ovvero cosa ho imparato oggi sul mestiere di scrittore:
- che ci sono troppi aspiranti scrittori
- che quelli che ci sono non sanno come si fa
- che gli editori non vendono
- che i lettori non comprano
- che i racconti (in italia) non si pubblicano
- che i romanzi (italiani) non inventano
- che gli editori non progettano più
- che i pochi italiani che leggevano, leggono meno
- che il libro è morto da tempo
- che il mestiere di scrivere è un altro.

martedì 7 gennaio 2014

George Saunders, Dieci dicembre


Ci sono libri che meritano il risvolto di copertina, con citazioni come queste, a firma - per esempio - di Jonathan Franzen. Questo è uno di quelli. Per esempio, mi riconosco molto nella prima: "Il libro più bello che leggerete quest'anno".
Saunders scrive con un'energia impossibile a immaginarsi, sempre dentro la storia, non la molla un attimo. Le sue storie hanno una vena soprannaturale, che con genio e naturalezza ti pulsa nella testa, come se fosse più accettabile, o comunque più vera della realtà che hai intorno.
Una scrittura che cercavo, una voce di cui forse sentivo il bisogno.

lunedì 23 dicembre 2013

Storie del Numero Due: La coccinella, la zebra e wham! la coda del drago


C'è la coccinella, c'è il drago e c'è la zebra.
La coccinella vive in una bottiglia, in un angolino della grotta. Così quando piove lei entra nella bottiglia e sta al calduccio.
Quando esce il sole spalanca alza le elitre, apre le ali, e vrrrrrrrrr vola.
Poi arriva anche il drago. Che sono amici, però non tanto. Perché il drago fa sempre i dispetti alla coccinella.
Volano, e lui wham! le dà le codate. E lei dopo un po' si arrabbia, e allora con le sue elitre vola lontano.
La zebra, no. La zebra ogni tanto si rifugia nella grotta.
Quando è lì che mangia l'erba, arriva il leone e lei scappa. Corre corre corre, finché arrivano la coccinella e il drago.
Volano, e il drago wham! con una codata lo manda lontano, fino a Katmandu.
Così la zebra è contenta. E ride.

Ieri Numero Due, tutto soddisfatto, guardava il libro sulle coccinelle appena regalatogli dalla zia. Arrivato alla pagina in cui coccinellano (come in foto): "Guarda! Giocano alla cavallina!".

giovedì 19 dicembre 2013

Storie del Numero Due: Shaun the Sheep contro la gallina bionica

 
Ho fatto un sogno. Te lo racconto.
C'era Shaun the Sheep che dormiva, e a un tratto sente i pulcini della fattoria.
Allora si sveglia e va sul tetto e poi li riporta giù, dalla Gallina.
Le mette le mani sugli occhi, così non si spaventa.
Perché la Gallina dorme, e non ha ancora apriti gli occhi...

aperti...

sì: la Gallina ha gli occhi azzurri, e li apre, e sono tutti completamenti

completamente...

no! Completamenti, perché sono completamente apriti, come due luci azzurre, come i fanali di una macchina.

E un po' si arrabbia, perché i pulcini stanno tra le gambe della pecora magra magra, e non vanno da lei.

lunedì 18 novembre 2013

Storie del Numero Due: la statua della coccinella Lisa


L'anatra volante, l'aquila e la civetta vanno a trovare la coccinella Lisa.
Lei però muore.
Di vecchiaia.
Allora le fanno una statua. Solo che, mentre le fanno la statua, lei apre un'ala

ala che si apre

poi l'altra

ala che si apre (l'altra)

e vola via: Vvvvvvv...

Non era morta, era solo addormentata. Doveva fare dei riposini.
Poi vengono quelli bravi e prendono tutti i pezzi e li portano in discarica.
La mano meccanica invece la portano a riparare.

??

La riparano, come quella del drago. Perché c'era una statua di un drago, con un braccio meccanico e una mano che...

mano che artiglia l'aria, tipo Dottor Destino

stritola. L'ha fatta un uomo che è vissuto tanto tempo fa.
Un po' genio.

venerdì 15 novembre 2013

Sulle strade del silenzio di Giorgio Boatti


Sono contento di aver superato la mia solita pigrizia nell’uscire dalle letture abituali. Confesso che, se non fosse stato di Giorgio Boatti, a cui mi legano, oltre a una generica stima, la conoscenza di Monica e una breve rassegna di incroci frettolosi sulla porta di Echo, forse non l’avrei letto. Non per altro: avevo semplicemente una pila così di roba da leggere, prima. Romanzi, racconti, fumetti. Poi però una sera ho cominciato a leggere e ci sono un po’ cascato dentro.
Perché Sulle strade del silenzio è un libro strano che lascia addosso molte cose, poco definibili. Polvere di calcinaccio caduti sul cappotto, briciole in fondo alla borsa, erba sul fondo dei pantaloni. Tracce, segni che sai di avere addosso ma ora devi camminare mica puoi fermarti a guardare bene.
È un racconto di viaggio per l’Italia in cui il paesaggio, pur mostrando colline e scorci, è tutto interiore. Un reportage autobiografico su un sentimento di irrequietezza, di mancanza di significati, mai indagato.
Giorgio Boatti non parla di quello che gli succede dentro, ma di quello che vede e ascolta in preda al proprio spaesamento, esplorando le vite che abitano i monasteri italiani, le vicende di persone che non vediamo e non sentiamo, che immaginiamo, se non proprio fuori dal mondo, sicuramente un po’ fuori asse. La cui solitudine attrae quando vorremmo prenderci una vacanza da noi stessi, equivocando. La cui scelta appare intrisa di una vaga misantropia.
Oltre a restituircene un’immagine non stereotipata, Giorgio riesce a rovesciare la prospettiva secondo cui è il nostro tipo di vita, quello vero, quello coraggioso, che non fugge e si carica di affanni. I monasteri non sono insomma luoghi di pace, di vacanza dal mondo, ma di ricerca – certo, più o meno serena o pacificata, ma pur sempre in divenire – che rispondono a un diverso bisogno di verità. Una verità che vorremmo tutti e una necessità che probabilmente non occorre essere credenti per capire. Quanto questa scelta sia alternativa, e in cosa consista esattamente, credo che sia il mistero non svelato attorno a cui girano le domande dell’autore.
Ai percorsi di vita che Boatti incontra lungo la penisola si contrappunta, sottotraccia, la riflessione dell’autore. Mai scontata, sempre lontana dalla tentazione dell’autobiografismo non richiesto, stimolata più dagli incontri e dalle situazioni, dai paesaggi nitidi lungo le statali e tra le montagne in cui è facile perdersi, che non dal bisogno di farci partecipi di un suo rovello. I suoi dubbi, le sue esitazioni, le domande che si pone hanno invece il grande pregio di avvicinarci alla materia, permettendoci di seguire anche nostri percorsi di riflessione dentro i suoi, di attingere alla sua meraviglia per trovarci qualcosa di nostro.
Non si resta fuori, per nulla, anzi ci si perde volentieri nelle anse dei fiumi che ci dipinge. Si perde un poco il senso del tempo – esattamente come il viaggiatore Giorgio si perde apposta per le campagne. Un momento di ripiegamento che a me è risultato semplice e leggero, lasciando tutta una serie di sensazioni addosso che impiegherò un bel po’ a leggere, fuori dalle pagine e dentro i miei paesaggi.

sabato 9 novembre 2013

Storie del Numero due: C'è una zebra in pericolo

C'è un'anatra volante che a un certo punto vede una zebra incastrata in un tombino. E allora l'anatra volante, la civetta e l'aquila la aiutano, se no arrivano i topini.
L'anatra vola in alto in alto e prende un mattone e bam,

manine che sbattono qualcosa di pesante per terra

sulla testa del primo topino. Poi arriva la civetta che prende un tronco, grande, e lo fa rotolare e bam!

manine che sbattono qualcosa di pesante sulla testa

sulla testa del secondo topino. Poi arriva l'aquila che con i suoi artigli

manine e bocca che fanno gli artigli

prende la zebra e... la salva.
Poi però arriva un leone. E l'anatra, la civetta e l'aquila lo attaccano, wish push tumsh

calci e pugni all'aria

E lui non ha paura, perché è un leone. Però se ne va. Perché loro aprono le ali e allora.
Ti è piaciuta?


venerdì 8 novembre 2013

Storie del Numero Due: l'anatra volante e il cacciatore.

[Numero Due inventa le storie per divertire il papà, nel tragitto verso la scuola]


C'è un'anatra volante che vola e incontra una civetta e un'aquila. E la civetta e l'aquila le dicono: stiamo andando a cercare del cibo. E allora l'anatra le porta in un posto dove c'è tutto un paradiso di cose da mangiare e loro

manine fin dentro la bocca

gnam gnam gnam. Poi arriva il cacciatore, le vede e pum, spara. E le colpisce alla pancia. Però solo un po'. Non muoiono. Allora scendono e aprono le ali e... wham wham wham

braccia che fanno a cazzotti con l'aria

lo sbattono a testa in giù contro il muro. Fine. Ti è piaciuta?

martedì 10 settembre 2013

Vediamo che succede - parte 1


Mentre a tempo perso rifletto su alcune pagine e, rileggendo, comincio a revisionarle come si deve (ci sono alcuni punti in cui la voce, proprio, mi si inceppa), mi arriva il terzo riscontro.
Il primo commento, finora l'unico "tecnico" (non so se posso dirvi da chi viene), sulle prime 20 pagine, è un sostanziale "non male, anche se manca di tono".
Gli altri due provengono da due super donne. Una è Virginie, che mi ha riempito di soddisfazione: è un romanzo vero, mi ha scritto; ed è il riconoscimento che volevo.
La seconda, per me sorprendente, è quello della Normanna. Direte voi: ah, beh, è tua moglie e madre dei tuoi figli.
Eh no, non funziona mica così. Primo, perché la Normanna si tiene ben lontana dalle mie menate più o meno pseudointellettuali. Poi perché è una lettrice onnivora, come me, ma ha gusti diversi dai miei. Infine perché, lavorando nel mercato dell'editoria, ha una certa sensibilità commerciale che a me manca del tutto. I suoi occhi sono quelli di una lettrice forte e generalista, senza concessioni al bestseller inutile o ipersentimentale o, dall'altro lato, al super criticismo astratto.
Insomma: è in grado di farmi il culo come di dirmi che funziona. E secondo lei, al netto delle critiche su certe involuzioni della forma, funziona.
Da parte mia, incamero tutto e attendo che arrivino gli altri commenti prima di buttarmi nella revisione.
E intanto scrivo, altro. Cose nuove che al mio orecchio sembrano già fare passi avanti. Vediamo cosa ne esce.


lunedì 1 luglio 2013

Guy Delisle


Questo, e altri che sto leggendo, restituiscono un po' di senso alla lunga estate fredda.

lunedì 12 novembre 2012

I tuoi occhi celesti. Stefano Benni è tornato


Benni è tornato. (No, nessun dubbio in merito).
Dopo i libri infelici che mi avevano spinto a scrivere una stroncatura in forma di lettera, finalmente un libro felice, evoluto, con la sua vena intatta dentro. Di tutte le ricchezze è lontano dalla comicità di Bar Sport e da Baol, piuttosto è vicino alla poesia di Prima o poi l'amore arriva e Blues in sedici, magari è imparentato per malinconia con Comici spaventati guerrieri e con il film Musica per vecchi animali. Ha forse qualcosa della Grammatica di Dio.
Ma è qualcosa di nuovo.
Ero sicuro che ne avesse ancora, di cose da dire il Stefano amabile e burbera suocera, anzi mi stupiva che fossero alla fine così evanescenti, così poco espressivi e male assemblati i romanzi (e i racconti) usciti da Margherita Dolcevita in poi. Ora che ci penso, soffrivano di una certa rabbia repressa, di una depressione male intesa, di un conflitto irrisolto tra autore e pubblico: lo dico perché qui si respira tutt'altra aria, un'aria tersa e vibrante come le mattine pungenti che svegliano il protagonista, forse pacificata. Non che il punto di vista benniano, con le sue punte di surreale, la sua energia compositiva e il suo umorismo malinconico, sia più distaccato: è esattamente l'opposto.
Il lupo ha battuto il muro in velocità, l'ha saltato o l'ha aggirato o l'ha bucato: insomma tutto quel viluppo di rabbia cieca che aveva alzato un muro invisibile, imprigionando il nostro in un acquario e annebbiando la sua scrittura per asfissia, ora è dissolto e stemperato. Tutto ha colori più vivi e più autentici, e il nostro giovane ultrasessantenne è infine cresciuto, come dopo la febbre il bambino convalescente.
Non che non abbia difetti, anzi. Ma sa raccontare
E quel che racconta è di un amore e anzi dell'amore in alcune sue forme, comprese quelle che hanno a che fare con l'odio e con il fascino segreto dei segreti.
La trama, la trovate qui.
Io me ne torno soddisfatto ad aspettare il prossimo romanzo e vi lascio al piacere di farvi raccontare una storia.
Se qualcuno volesse farne un film, oh - io sono pronto.

venerdì 9 novembre 2012

Di fronte alla vita siamo innocenti


Qui, su Lipperatura, parla uno scrittore. Ascoltatelo: a parte i due ultimi paragrafi, che forse sono i suoi 78 anni ad averli detti, questo è uno scrittore che si interroga e a cui mi sono sentito-  da lettore, non scherziamo - improvvisamente vicino.