mercoledì 28 ottobre 2009

DONNE (ma niente dududu) / parte 9


Il fine giustifica il medium

Tuttavia, qui il dubbio è che la tv non sia neanche più un medium, un mezzo, ma un fine. L’impressione è quella che non ci si appelli neanche più, alibi passepartout, al dio mercato. Arrivarci, esserci, porsi in vetrina, dai politici dimenafogli alle letterine dimenaculo, significa giocare nel giro grosso. Non è più apparire, ma un essere. La realtà televisiva diventa, per prodigio dell’oligopolio Rai/Mediaset e dell’offerta omologata, realtà condivisa dalla coscienza collettiva. Non l’unica, certo, ma comunque egemone. E se la morchia maschiocentrica passa come realtà egemone, in pari dosi attraverso la cronaca e attraverso lo spettacolo, bene si può capire come faccia ad avere tanta forza di penetrazione.
La realtà e la tv sono oggi vasi comunicanti di un liquido venefico. E contro quel liquido vi è poco o nulla a fare argine. Che fare? Ribellarsi, certo, ribellarsi.
La tv è un mondo irriformabile nell’era di Berlusconi, e così la politica. Per invertire la sovrapposizione dei due mondi, dovremmo ribellarci a entrambe. Per farlo, serve la dispersa ma veemente forza degli intellettuali, la libera critica nell’informazione (Il Fatto Quotidiano è un nuovo, buon esempio di redazione ed edizione affrancata dall’oligopolio, mentre Il manifesto ne è l’esempio storico) e, naturalmente, dalla realtà. Quella non televisiva. Quella in strada, in piazza: i soggetti sociali che hanno confidenza con l’azione e la vocazione al conflitto. Sì, credo proprio che la speranza possa venire solo dai nuovi e aspri conflitti sociali che questa tv autoreplicante e questa politica autoconservatrice nascondono, minimizzano, ridicolizzano. Nuove domande potrebbero essere: il femminile è pronto al conflitto? E il maschile? E tutti e due, tre, cento mondi senza distinzione di genere, sono attrezzati e disposti ad aprire le ostilità? Materia per un altro articolo, temo.

(segue)

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