venerdì 2 aprile 2010

martedì 30: empatia


Oggi di nuovo c’è solo un ottimo brasato della zia, diviso con mio fratello, accompagnato da polenta e gorgonzola. Per inciso, tutta roba che potrei mangiare anche se fossi a dieta.
Ma alla memoria sale ancora qualcosa del lunedì, che molto ha cambiato non solo dei miei para-pensieri alimentari ma anche d’altro.
Perché lunedì ho anche fatto altre cose.
Tra cui la più importante è stata andare a parlare con un’amica di cosa può essere anzi di cosa può diventare il mio tempo e anche probabilmente l’intera vita professionale.

Poi c’è che non so com’è capitato ho visto una puntata del Dr. House e ho cominciato a pensare cose che non avrei voluto pensare. O forse sì, dipende. Non c’entra la storia, e nemmeno la malattia, c’entra la cosa che mi si annodava in petto guardando neutro una sceneggiatura messa davanti alla macchina da presa. Perché non vedevo il paziente, ma l’attore che lo faceva. E d’improvviso ho realizzato perché House, E.R. e tutti quanti gli altri hanno così presa su di noi comuni mortali: la sofferenza.

È la vecchia catarsi dei greci, potevo anche pensarci prima, ma è proprio questo il punto. Empatia. Non c’è, sei morto. C’è, sei vivo.

Io proprio non so come sto, adesso.

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