venerdì 23 luglio 2010

Mafia a pavia 2 e1/2: ma il male dov'è?

Ispirato dal blog Condivisioni, di Stefanno Pallaroni, nei post La Mafia a Pavia/1 e La Mafia a Pavia/2


Ma il male dov’è?

di Armando Barone

La cosa che più sconvolge della mia città è l’incredula presa di distanza: ma no, ma quale mafia. Se è mafioso quello, allora lo siamo tutti. Ma dai. Poi lo vedi che è colpa dei calabresi, eh, che son venuti qui anni fa. L’ho sempre pensato che a certea gente non gli devi dare neanche tanto così. Era così allora, lo è adesso. Cogli albanesi, coi neri, coi rom. Ma se era mafioso figurati se gli facevano fare tutto quello che ha fatto, dai.

Ecco in che cosa il provincialismo benpensante della mia gente fa orrore: credere che il male, quando c’è, non la riguardi. Io frequento solo gente per bene, cosa crede? Laureati. Professionisti. La gente per bene, quelle cose, non le fa. Se no, è la fine. Se no, crolla il mondo. Se no, devo mettere in discussione tutto. Far figure con la gente. Rinunciare alla mia posizione faticosamente conquistata. Alla reputazione a ogni pie’ sospinto difesa e mantenuta.

Ma il male, allora, dov’è? Il male è il drogato, il ragazzo dei centri sociali, l’immigrato, l’omosessuale. Il male è spesso nel debole, anzi nel vulnerabile. I poveri non esistono: se non lavori vuol dire che non vuoi lavorare. A meno che.
A meno che il male non sia poi una piccola devianza del bene, non sia per caso non sia segreto di famiglia, un figlio di qualcuno, un badante. E allora è un male necessario, è il male che possiamo controllare. Allora sì.

Ma il male senza controllo, quello che ti si annida in grembo, nel tuo quartiere o nel tuo condominio, nella tua cerchia di amici e magari anche in famiglia, quello no.

Qui a Pavia non è che la mafia non esiste. Semplicemente, non esiste il male organizzato. Quello scientifico. Quello per bene. Quello è roba da telegiornale. Siamo selettivi anche sull'individuare le priorità, gli allarmi o, come si dice da qualche tempo, le emergenze.
Esiste il problema del parcheggio. Dell’inquinamento. Le scritte sui muri. La città che è sporca. La casa che costa tanto. Lo spaccio di cocaina, no. Le estorsioni, no. L’usura, no.

Pavia è una piccola Roma. Anzi, un’Italia in piccolo. Una città dove conta ancora essere il figlio del tale e il pupillo del tal altro, aver sposato un cognome e non un individuo, fare un lavoro che si può abbreviare davanti al nome. Dottore. Ragioniere. Professore. Avvocato. Se dici che fai l’impiegato sembra che lavori alle Poste.

È una città dove conta il giro che frequenti. Familglie, amicizie, club. Una geografia della rispettabilità sostanzialmente immutabile. Pavia è una delle poche città in cui, nonostante giunte ignavi o spendaccione, ci si è tenuti lo stesso sindaco perché era troppo faticoso cercarne un altro. Un medico, e persona per bene. Cosa vuoi di più? E alle ultime elezioni, l’argomento dominante a favore del sindaco Cattaneo era: “Lo conosco, almeno è un bravo ragazzo”.

La politica da noi è casta quando maneggia lontano, ma appena si avvicina è una porta da aprire sottovoce, non si sa mai che ne hai bisogno. È un’ipocrisia, certo, ma del resto fanno tutti così, cosa vuoi, e poi se sono arrivati lì, non sarà mica un caso, no? In fondo, a chi fanno male? E anzi ci vuole, un po’ di furbizia, e di coraggio, e di faccia di tolla - che io non ho.

Io no. Noi no. I miei amici Cognomi no, è impossibile. La nostra storia è una storia di cene a casa di amici. Incredibile quanto ci fa imbufalire il locale che ci tiene svegli una sera a settimana e quanto poco ci angoscia leggere sulla Provincia che l’amico di amici tanto distinto incontrava regolarmente un boss della ‘ndrangheta.

Perché è più facile fingere che il male, se esiste, non sia nel mio cortile che alzarsi e spazzarlo via prima che ci insozzi anche la soglia di casa? Cosa rischiamo, a voler guardare in faccia la realtà e a emozionarci, a dirci: eh no, così non va. Questo è troppo.
Ma poi da solo che fai, ti chiedono gli amici. E mai nessuno che risponde: venite anche voi così noi, quelli per bene, non siamo più soli.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Quando la mafia si manifesta è proprio come dici tu: la prima reazione è quella di una rimozione collettiva. E quando la mafia si manifesta spesso è tardi. Allora bisogna ripartire da zero, se il sistema lo rende ancora possibile. Diffondere il messaggio che non bisogna ricorrere all'amico dell'amico dell'amico per avere quel semplice favore, ad esempio. Non finalizzare la propria vita all'idolo del superfluo: ma me lo spieghi tu perché in questo Paese tutti vogliono una casa, una casa grande grande e la vogliono pagare poco, troppo poco fino a farsela regalare? Così abbiamo visto ministri che in pratica dicono di credere ancora in Babbo Natale... Ma per operare questo cambio di rotta ci vuole, ed è solo uno dei tanti requisiti necessari, ad esempio un'istruzione solida attraverso una scuola pubblica ad alto coefficiente formativo. Visto che a settembre bimbi, ragazzi e adolescenti saranno tutti rinchiusi/compressi in aule-serraglio da 30, mi sembra tutto molto difficile. Scusa per il pessimismo che tra un po' sarà perseguito penalmente. stefano