giovedì 10 giugno 2010

Una cento mille verità. Più due


Se c'è una cosa che mi fa incazzare come una belva - in special modo quando guardo il televisore nella speranza che ci sia della televisione dentro - è quando per dimostrare una tesi uno tira fuori una serie di numeri a cazzo, a cui inevitabilmente risponde un altro dicendo che no, sbaglia, lui ha altri numeri. Anche quelli, chiaro, verrà fuori che sono citati a cazzo.
Ma io ci ho le carte, dice il primo.
Ma bisogna saperle leggere, dice il secondo.
E mai un Santoro un Ruotolo un Mamma Santissima della Ragioneria che possa dirti davvero come stanno le cose.

Oppure, come Repubblica fa coi suoi titoli che citano le agenzie che riportano i numeri che pubblica un istituto che non dovrebbe mai pubblicarli così, a cazzo, ma che messe così sono cifre a cazzo: nel pubblico sono cresciute le retribuzioni del trenta per cento! nel privato del ventisette! Ah, per giove che notizia. Mi sento già più ottimista, non dovessi, come suevele oggi, pensare alla mia dichiarazione dei redditi, secondo cui il 40 per cento che guadagno se ne va allegramente in vacca.
Come i dati sulla ripresa industriale. O le percentuali (scusate: fottute percentuali) di revisione del prodotto interno lordo.

Allora a queste verità ormai relative al punto che si annullano, aggiungo anche le mie due: primo, è chiaro che è un espediente retorico per avvalorare la propria tesi, solo che ormai lo conoscono tutti e non funziona nemmeno più - è una specie di pallosissimo rito da talk show; secondo, che è un disordine creato ad arte, intenzionalmente, per confondere e togliere argomenti a chi non ha il potere di ottenere, verificare, contestare quei numeri. La vecchia storia della casta degli scriba che detengono l'egemonia culturale perché sanno leggere e scrivere. Solo che il potere non si misura più sull'abilità, ma sul potere di informare e disinformare a piacimento. I numeri sono la rappresentazione dell'Universo, vero? Ecco che la rappresentazione della crisi scompare e riappare a piacimento nelle pieghe dei contraltari, e finisce che la matematica diventa un'opinione.
E, come tale, se non è allineata deve scomparire.

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