venerdì 25 settembre 2009

TELE KABUL

Non so se faccio bene a scrivere della morte dei militari italiani. Sull’informazione e la colossale, indegna ipocrisia del videolutto nazionale (ancora tv del dolore, ancora retorica dellla patria, ancora il vizio di dividere il mondo in buoni e cattivi per il gusto di ascriversi ai buoni), non mi pronuncio neanche. Non vale la pena.
Neanche la storia dell’omelia di Don Giorgio De Capitani mi interessa: un prete incazzato che arringa i suoi fedeli per svegliarne le coscienze dovrebbe essere normale. Qual era il problema, che ha usato le parolacce? D’accordo o meno, sui contenuti uno può discutere all’infinito: era precisamente questa, l’idea. Lascio anche perdere, questa volta, la vigliacca e grottesca uscita di Bossi: non è la prima volta che usa la pelle di qualcuno per fare campagna elettorale, fa schifo e basta. La tentazione è addirittura quella di rimuovere l’accaduto. O direttamente lui, dipende.
Però lo spettacolo orrendo che la videocrazia italiana ha messo in scena fa accapponare la pelle, e per difendersi uno deve passare in rassegna le proprie convinzioni. Per esercizio del cervello, aggrappato al raziocinio in una tempesta di ignoranza fascistoide, annoto.

Uno. Non sarebbe neanche da dire, ma è ovvio che i soldati sono morti facendo il loro mestiere. La mia sensibilità dice ‘dolore per i familiari’, ma mica solo italiani. Che in un’azione di guerra muoiano persone fa male - americani italiani afghani russi o giapponesi, militari o civili, che differenza fa. È triste lo stesso. È egualmente un’abiezione con cui fare i conti.
Due. I soldati italiani sono soldati. Non eroi. Non sacrificano la vita difendendo i patrii confini dall’oppressore. Certo che il loro lavoro sarebbe quello di essere al servizio dello Stato, ossia dei cittadini. Ma non è così: sono al servizio del Governo, che non è lo Stato anche se lo rappresenta. La differenza è fondamentale: i governi dal 2001 in poi, avallati dalle forze parlamentari, hanno scelto la risoluzione non diplomatica di un conflitto, creato dal più potente alleato e persino avallato dall'Onu, in qualità di Paese oppressore e aggressore. La nostra Costituzione, ossia ciò che rende lo Stato una comunità di cittadini uguali dinanzi alla legge etc etc, lo vieta esplicitamente.
Tre. Il Governo, e i governi precedenti dal 2001 in poi, hanno deciso in nome del popolo italiano che i soldati debbano andare in guerra in Afghanistan. Tradendo lo spirito su cui si fonda lo Stato. Chi li ha votati e fatti eleggere? La maggioranza degli aventi diritto. L’opinione pubblica, se avesse un’opinione, avrebbe dovuto sconfessare questa scelta, almeno al momento di votare. Non l’ha fatto. Ne consegue il punto quattro.
Quattro. In Afghanistan è in corso una guerra - persa in partenza - decisa da un branco di avidi e fanatici fascisti contro altri avidi e fanatici fascisti per l’espropriazione di risorse energetiche, ossia per il potere internazionale. Chi serve l’esercito, allora? In Afghanistan, in Libano, in Iraq, l’esercito serve e protegge il Governo, le Forze militari internazionali, le elite economico finanziarie legate alle forniture militari, i Servizi e se stesso. I cittadini italiani, si direbbe proprio di no. Nessuno ci ha chiesto, al momento di votare: allora, vi va di ingrassare Dick Cheney, la lobby delle armi, la lobby dei ricostruttori, di ammazzare un bel po’ di gente e andare a conquistare un paio di oleodotti?
Cinque. È solo stupido pensare in termini ‘si vis pacem para bellum’. Perché la guerra, e i soldati lo sanno meglio di chiunque altro, è una cosa stupida. Sarebbe intelligente fare istruzione e contribuire a dotare un Paese straniero di infrastrutture che permettano di riprendere a produrre ricchezza – cosa che finché c’è la guerra non si può fare. E non lo può fare chi la guerra la porta. Così difficile da capire?
Sei. A questo punto, però, dovremmo averne veramente i coglioni pieni. Di tutta la faccenda. Delle menzogne che ci rovesciano in faccia. Del fatto che si neghi l’evidenza: l’Italia è in guerra, la guerra è una cosa stupida, i soldati sono pagati per fare una cosa stupida a rischio della vita, per giunta in nostro nome. E in nostro nome questa cosa stupida uccide centinaia di migliaia di afghani. Ognuno di noi, guardando in faccia i familiari delle vittime di tutte le parti, dovrebbe provare, oltre alla tristezza, almeno una buona dose di vergogna. Merce alquanto rara, di questi tempi.

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