mercoledì 17 giugno 2009

Berlusconi, l’Italiano e lo Stato ostile / 8

Una nient’affatto serena e pacata analisi del dopo Elezioni - parte 8


La sbornia del centrosinistra


Una socialdemocrazia dovrebbe parlare il linguaggio dello stato sociale, che è la funzione primaria e non accessoria dello Stato, e con quello ricostruire il rapporto tra Stato ed elettore. L’errore, per ammissione stessa di alcuni protagonisti del primo governo Prodi, è stato prima di aver sottovalutato Berlusconi, e poi di averlo sopravvalutato. Il populismo del padrone di Arcore aveva prodotto una tale improvvisa ondata di consenso, e per giunta a riempire i vuoti lasciati da democristiani e socialisti craxiani, che la componente progressista tradizionale ha clamorosamente sbandato: si è creduto prima di poterlo neutralizzare inserendolo nel sistema partitocratico (vedi Bicamerale), e poi di sottrargli consenso giocando sul suo stesso terreno.

Errori terribili. Spesso, quando si parla della mancata produzione di un’alternativa da parte del centrosinistra, si riduce la questione all’accettazione, più o meno supina, del liberismo economico come principale linea guida della politica di un Paese. Non basta: la portata culturale di un messaggio del genere è enorme, su un elettorato immaturo e disorientato come quello italiano. Legittimandolo come interlocutore, si è dato a Berlusconi il vantaggio di rappresentare il nuovo e l’ostile. Seguendolo sul terreno ultraliberista, si è concesso al suo personale successo di rappresentare la prospettiva di successo economico di un intero Paese. L’ansia di autoconservazione di una vecchia classe politica, sfibrata da Tangentopoli, non poteva competere con l’incarnazione del vincente.

In più, in un contesto in cui un’economia profondamente prostrata faticava a reagire, si sono abbandonati due temi fondamentali di ricostituzione del rapporto elettore-istituzioni: lo stato sociale e la legalità.
Si dimentica che la questione morale e la lotta al nero e all’evasione non appartengono alla sfera della mera politica parlata. Sono il morbo nero dell’economia. Portare soldi allo Stato e cominciare a redistribuirli è un potente viatico a mosse impopolari come l’aumento delle tasse – vecchio cavallo di troia di Berlusconi tra gli scontenti del centrosinistra. Colpire le rendite e incentivare la produttività avrebbe potuto competere con il vuoto delle politiche economiche escogitate da Tremonti, il cui genio creativo è tutto trucchi da commercialista di bassa lega, per giunta distruttivi per il patrimonio dello Stato. Si sarebbe messo in campo il nuovo vero contro la fuffa innovativa. Non è detto che avrebbe prevalso, ma almeno ci sarebbe stata partita.

Il governo che Mastella e Dini hanno fatto cadere è stato l’epilogo finale di una lunga serie di scelte sciagurate. Era l’ultima occasione per dire all’Italiano che lo Stato non gli è ostile. Che anzi, quello ostile all’Italiano era proprio Berlusconi. Fornendo un vero ricambio in Parlamento, ridistribuendo il tesoretto, sanando l’orribile ferita dei precari, demolendo il tragico impianto giudiziario ad personam, riformando la giustizia e l’impianto carcerario anziché fare l’indulto, restituendo all’informazione il suo ruolo di servizio, assicurando pluralità al mercato e dismettendo i panni del verace alleato della Chiesa, avrebbe ottenuto molto di più.
Con quella maggioranza forse non si poteva fare tutto (si poteva fare una maggioranza migliore?), ma – ovvio - certo molto di più di quanto non si è fatto.
Senno di poi? Forse, ma nel dubbio è sempre meglio ribadire, visto che dal Berlusconi exploit siamo arrivati al Berlusconi quater. E quel poi assomiglia sempre di più a un cattivo doposbronza.
(continua)

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