martedì 17 marzo 2009

Omaggio a Talete Fuschini

(A Virginie, che cercava un maestro e una guida)


Non so perché, ma mi sono messo a rileggere Elianto, di Stefano Benni. Anzi, no, lo so perché. È che in questi giorni m’è presa così: volevo leggere qualcosa che sapesse di speranza. Difficile dire come sia nelle corde di questo romanzo il riuscire a rappresentare e amalgamare gli impulsi ad abbattere questa sorta di decadente monologo del potere,e le difficoltà della nostra corsa a sopravvivergli.
Il viaggio, la resistenza, l’amore per i gaglioffi e i diversi d’ogni risma razza colore e mondo, la sproporzionata grandezza dell’immaginazione. L’indice della Paura che governa il popolo, e per primo l’automa incaricato di governare il Paese, Tristalia – mai nome fu più azzeccato. Il televisore unico specchio, unico scettro, del reale. L’adolescenza come magma incandescente in cui tutto si produce e grazie a dio tutto non si decide.
A governare questa follia satirica e fantastica, il pensiero pazzo e per questo possibile di un antico scienziato di nome Cornelius Mac Noon, la cui voce è nel corpaccione di un infermiere con mani da orango e cuore insonne, di nome Talete Fuschini. Personaggio irresistibile, irregolare e saggio, resistente come solo gli adulti che non hanno dimenticato la curiosità dei bambini, ex-rapinatore e vorace intellettuale. Nelle cui parole troviamo non solo la geniale intuizione della teoria del Bonus Vitale (leggetela, se no che gusto c’è) ma anche una nuova chiave di comprensione. Nel personaggio, e nelle sue bizzarre frequentazioni, c’è l’equilibrio che vorremmo avere nella lotta e nella pace. Ci sono metafore e nuovi riferimenti per una cosmogonia nuova, immaginata e fondata nient’altro che sulla speranza, e forse sulla pietà che si riserva all’uomo, una volta contemplatolo nelle sue generosità e nelle sue miserie.
Ecco, in questi giorni (ma in realtà da sempre: sarà la decima volta che lo rileggo) c’è questo, di cui avevo bisogno: un nuovo universo in cui vivere, nelle poche ore della lettura, non per fuggire anzi per non fuggire, e lasciarmi incoraggiare a non perdere la speranza.


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