Finalmente trovo cinque minuti per scriverne. La prima cosa che mi viene in mente è: si tratta di storie di famiglia. La seconda: è una raccolta di racconti, ma non sembra. Perché le storie di famiglia della Munro partono da un lontano antenato scozzese e proseguono fino alla sua vita da adulta, seguendo un percorso narrativo a balzi, generazione in generazione, che è in parte storico e in parte biografico, ma sempre ispirato. Da chi, da cosa. Da personaggi, situazioni, luoghi suggestivi di quella epopea minore che fu il pionierismo canadese. Così intrise di anedottica e tratti familiari da renderla indistinguibile da un racconto di finzione. E poi: belli, questi racconti sono belli. Al di là delle storie, di questo, di quello o dell’autrice stessa, dei tratti di interesse che possono risvegliare in un lettore italiano e non pratico di topografia canadese, al di là anche del fondo storico che spesso affiora – ogni storia ha una sua Storia, insomma – la Munro ha un grande gusto per il narrare, la voglia di rendertelo piacevole e appassionante come in un dopocena davanti al caminetto. E la sua voce ha l’età indefinibile delle storie fuori dal tempo. Quelle che non riesci bene a ricordare quando può essere accaduta quella cosa, perché potrebbe esserti accaduta ieri, o centoquarant’anni fa al cugino del tuo prozio. Che, per inciso, non ti somiglia per niente.
La vista da Castle Rock
Alice Munro
Einaudi 2007
2 commenti:
tiens, tiens, ho cominciato "La vista da Castle Rock" ieri sera. Appena l'ho finito leggo questo post. baci
abbastanza.
cioè: tutto quello che scrivi è vero. ma non è bastato per farmi invaghire di alice munro o di castle rock. e quello che tu descrivi come un narrare senza tempo a me sembra un modo di raccontare datato, come se il libro fosse stato scritto una sessantina d'anni fa. piacevole sì, senza passione, però. chissà, magari io neppure l'avrei pubblicato. comme quoi...
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