venerdì 14 marzo 2008

Ze program/2: IO CONFLIGGO, E TU?

Altra parolaccia. Non so a voi, ma a me la pax veltroniana fa saltare i nervi: Basta con il conflitto sociale! Siamo il partito di tutti!
Se è uno scherzo, è di cattivo gusto.
Il conflitto sociale c’è, e non sparisce a non nominarlo o ad agitarlo quasi fosse una malattia. E nemmeno è sinonimo di sovversivo no global spaccavetrine.
Lo stipendio di un metalmeccanico, e il suo potere d’acquisto, e le garanzie di sicurezza sul lavoro, e le sue possibilità di accesso alla casa, alle cure mediche, alla scuola, al mondo del lavoro, le sue possibilità di partecipazione alla vita pubblica sono forse le stesse del suo padrone? In termini non-comunisti: come si fa a chiamare nuova una politica economica e del lavoro che si richiama esplicitamente alle politiche liberiste e neoliberiste degli ultimi quindici anni?
Tre lustri in cui la forbice tra abbienti e meno abbienti si è drasticamente allargata su scala mondiale, complice un processo di globalizzazione non regolato, e adesso il conflitto sociale non c’è più? O peggio: devo credere che Veltroni voglia risolverlo? Meno male che sono i comunisti a credere nelle utopie.
La dinamica di una società è conflitto. Il contratto sociale è conflitto. La giustizia sociale si realizza quando a parità di diritti si hanno pari opportunità, è un valore a cui tendere, non un obiettivo di redistribuzione dei redditi nella prossima Finanziaria.
Le candidature tattiche, poi, una presa per il culo. Bello avere gente nuova, magari tra questi c’è anche gente davvero in gamba, non discuto. Ma candidare l’imprenditore e l’operario, il vaticanista e il radicale, il liberista e il socialdemocratico, a casa mia si chiama strategia d’immagine.
Ebbene, io sono per una politica che porti il conflitto sociale sulla bandiera, e che lo gridi: voglio eguaglianza! Voglio pari diritti! Voglio giustizia sociale! Voglio che il padrone/il ministro/la banca/il FMI/la Nato non disponga di me, e dei miei figli. Ma, semplicemente, faccia il suo dovere: fare il bene comune, per quanto è, domani un poco più di oggi, possibile.