lunedì 21 gennaio 2008

Diario #2

Ora che ho riportato alla giusta distanza e dimensione quegli episodi, queste righe perdono un poco delle vibrazioni terapeutiche che mi diedero allora. Però credo siano un poco interessanti, come testimonianza di un’autoindagine e per il tentativo di definizione di un’inafferrabile paura. Niente più di questo.

[24/07/2006, parte 2]
La serpe
Eppure è spaventoso. La paura non conosce razionalizzazioni. L’ansia impedisce di afferrarla con sicurezza per toglierle il veleno e renderla inoffensiva e passare a conviverci. Ho il dubbio di aver solo recitato la parte dell’albero in tempesta: restare saldo e sicuro, perché la Normanna non crollasse; perché l’ho pensata più fragile di me e la depressione è un confine sottile, non volevo che lo varcasse. Perché se avessi ceduto l’avrei trascinata giù con me e non era il momento di affogare, ma di reagire, e nuotare fino a terraferma. Ora sono io che annaspo, anche se ormai sulla solida rena, guardandomi alle spalle e davanti allo stesso tempo, tanto che non riesco a camminare in linea retta. Senza sapere se appoggiarmi o no a lei, che ora respira a pieni polmoni e decisa punta all’impossessarsi del suo ruolo in queste settimane, tra mille dubbi sinceri ma senza mentire a se stessa. Forse dovrei. Parlarne, dico. Ma è ancora troppo presto. Non è comprensibile a chi non ci passa, ed è troppo gravosa per chi l’ha conosciuta. Non posso ancora, non ne so abbastanza. Non riesco ad avere abbastanza silenzio per ascoltarmi e decidere come prendere questa nera paura di non saper reagire con prontezza, di non esserci se e quando c’è emergenza, di non poter arrivare in tempo – e allora questa è l’ansia che travalica le mie difese: non tanto la paura stessa, ma che la paura vinca.

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