venerdì 18 gennaio 2008

Diario #1

Questo è un brano del ‘diario’ che non ho mai pubblicato. Faceva male, allora. Era il 24 luglio 2006, il Normannino aveva appena 9 giorni. Era stato una settimana in ospedale per un episodio di disidratazione. Niente di drammatico, forse, ma in quei giorni era tutto terribile. La corsa in macchina alle quattro del mattino, l’incubo al neon dell’ospedale deserto, l’afa della notte a 38 gradi, il pianto inconsolabile del bimbo e le lacrime della Normanna, troppo debole dopo una dimissione frettolosa e ancora provata. Desolata mentre guarda colostro, e non latte, uscire dal seno. Inadeguati, impreparati, irresponsabili, quanto ci siamo sentiti negati e indegni, terrorizzati, sfiancati dallo sforzo di rimanere aggrappati a noi stessi, per sfuggire al buio interiore.

[24/07/2006, parte 1]
Cieco
Se almeno mi passasse l’ansia. Il nodo allo stomaco, la testa che fluttua, le gambe che tremano tutto il giorno. Non sono abituato all’ansia. Non la tollero bene, come tutto ciò che non capisco bene. Sono abituato a razionalizzare, io, è una difesa per rimanere lucidi. Non sono abituato all’opacità della mente, come se non potessi scorgere chiaramente i miei stessi pensieri, a passare le giornate allargando i polmoni per allentare la presa sullo sterno. Solitamente so chi sono e cosa sto facendo. O ne ho per lo meno un’efficace illusione. Solitamente ho il controllo di ciò che mi accade, per lo meno quando c’è necessità di rispondere. Di fare qualcosa. Di difendermi e proteggere. Solitamente, quando qualcosa di imprevisto e pauroso o solamente preoccupante accade, mi dico per prima cosa: sono fatti di natura, umani come la mia carne e il mio sangue. Quindi, anche se non li conosco o non li so definire, sono parte di un sistema finito. Accettarli è la prima regola per comprenderli. Basta studiarli per impossessarsene. Basta darsi tempo per impararne i contorni, come nel linguaggio dei ciechi.
Questa nuova dimensione mi deve aver aperto, spalancato una botola segreta sotto i piedi. Da cui ora non esce che il puzzo di paura. E senso di colpa, per non aver evitato il ricovero al piccolo. Per avergli fatto, involontariamente e inconsapevolmente, del male. E questo - oh, è tutto spiegabile, come io l’ho spiegato e fatto accettare alla Normanna: non sapevamo, non eravamo preparati, si deve andare per prove ed errori, necessariamente, noi come tutti gli altri. E comunque non è stato un dramma e si è risolto in fretta e adesso sappiamo come fare perché non accada più. Tutto naturale, umano. Comprensibile. Accettabile. Eppure adesso sono qui, con la bocca secca, mezzo respiro per volta.

Nessun commento: