Raccolgo l'invito di Giusi Marchetta. Non so bene con quale titolo partecipo al dibattito: non sono (ancora) uno scrittore, e se sono ascrivibile alla categoria intellettuali non me ne sono accorto. Scrivo più che altro per ragionare a voce alta.
Caso di cronaca, un’auto con sei uomini e una donna. Lo stupro del «branco». Eppure, la sentenza che non rende giustizia: incredibilmente, passano per innocenti sei maschi (ragazzi sotto i 30 anni), mentre la donna (una ragazza di 22 anni) invece passa per consenziente.
Al di là del contenuto della sentenza, ingiudicabile senza conoscere il completo iter processuale, Giusi Marchetta commenta «com’è scritta la sentenza»: in quelle righe c’è un ritratto della ragazza che sembra togliere ogni dubbio sulla sua condotta "a rischio". Procace e provocante, disinibita, bisessuale, atteggiamenti lascivi. Addirittura, secondo le testimonianze, nel corso della serata avrebbe detto che «voleva scoparseli tutti». Ma è anche il contesto che è descritto (anzi: «raccontato») in modo che non si sfugga al giudizio: gli slip rossi, la cavalcata sul toro meccanico, il sesso orale in un bagno, dettagli su eiaculazioni e posizioni nell’atto sessuale. (Utili? Possibile, dato che occorre dimostrare che atto sessuale c’è stato, ma davvero necessari per la sentenza?).
Però alla sovrabbondanza di particolari sul vissuto della ragazza e sui suoi comportamenti e sulle sue preferenze in materia di sesso non c’è contrappeso: dei sei uomini si dice solo che erano bravi ragazzi senza precedenti. Erano sei contro una, d’accordo, ma del resto: erano in auto con una sexy virago di 22 anni che aveva perfino fatto un film splatter.
Io questa la trovo un’enormità: com’è sostenibile che tutto ruoti intorno al consenso della ragazza?
In questa notizia vedo emergere un quadro particolarmente brutale di obbedienza a una «opinione comune», che spazza via la comune nozione di responsabilità personale: il consenso è stato dato, quindi questa che vuole? Come se fosse dato per scontato che sia esperienza comune di tutti i maschi trovarsi in sei in auto a fare sesso con la stessa ragazza, che evidentemente a questo punto avrà ripetuto il proprio consenso a tutti, uno per uno.
Anzi, posto che il sesso - anche quello estremo - dovrebbe definirsi per il piacere reciproco e che anche per la Giustizia questa nozione dovrebbe essere dirimente, ci si chiede come sia stato possibile stabilire che il consenso sia stato inequivocabilmente dato a ogni momento dell'atto (di tutti gli atti) in virtù di questo piacere reciproco. Alcool o non alcool.
E resta davanti ai nostri occhi la follia che si sia ritenuto comunque legittimo, in virtù di tutto questo dare consenso, dare sfogo alla propria eccitazione: non mi interessa cosa vuoi, mi interessa che lo vuoi.
Fa bene Giusi a chiedere che anche gli uomini, per una volta, prendano una posizione. Ho letto Giorgio Fontana che parla di femminismo per i maschi, e ho trovato il suo intervento interessante e ricco di spunti.
A me preme soprattutto sottolineare come sia enorme il fatto che nero su bianco una sentenza di un tribunale della Repubblica apra il campo a una considerazione deviante, quella secondo cui, se ti provoco, automaticamente ho dato il consenso alla tua reazione. Spazzando letteralmente via il concetto di responsabilità personale.
Insomma se ti dico «Picchiami» e magari ti indico anche la mia faccia, se lo faccio più volte, se faccio tutto questo anche ad altri, e se per giunta sono uno che fa a pugni spesso, il cazzotto che mi sfigura me lo sono cercato. Giusto? Siamo due uomini adulti e consenzienti. Vogliamo tutti e due spaccarmi la faccia.
Ecco, no, non è giusto.
Primo, perché le lesioni restano un reato anche se siamo «consenzienti». Secondo, perché il mio consenso a spaccarmi la faccia, io, non te l’ho dato. Ti ho provocato, è vero, ti ho chiesto addirittura di picchiarmi, certo, ma qui sei tu a decidere, non io. La responsabilità di quello che fai resta tua. Terzo, la nostra relazione non è simmetrica: tu hai il potere di farmi male, anche se te lo consento questo non vuoi dire che è legittimo farlo.
La violenza è di per se stessa asimmetrica: c’è chi la compie e c’è chi la subisce.
Ed è qui che la questione di genere torna a essere importante: la relazione tra uomo e donna è storicamente asimmetrica. E la domanda dovrebbe quindi essere: quanto siamo consapevoli di questa asimmetria quando valutiamo i fatti?
Mettiamoci nei panni di uno dei sei che sta facendo sesso con la ragazza in auto. Lei non sembra molto in sè e anche tu hai bevuto. Pensi davvero che sia consenziente? Pensi davvero che si stia solo divertendo? Che essere lì, con lei mezza ubriaca, in sei, sia una situazione «potabile», magari solo un po’ estrema?
Chiaro, non è del giudizio morale che si occupa il Tribunale, ma dell’accertamento dei fatti. Ma la ricostruzione dei fatti si poggia sul movente delle azioni di chi quei fatti ha compiuto.
Come può reggere una ricostruzione che nega la responsabilità di sei maschi, sei?
Questa sentenza dice che le circostanze tutte lì, stavano: a dire che la ragazza li ha provocati, a lungo e con tutte le armi a sua disposizione, e che non era neanche la prima volta che si comportavano così. Loro, che potevano fare: rifiutarsi, forse?
Se non vi piace questa visione un poco «moralizzante» prendiamo la questione da un altro punto di vista.
Lascio la porta aperta, i soldi bene in vista, il pc sul tavolo. Ti dico dove abito. Ti dico che è tutto lì, pronto per farsi rubare. Ti dico che mi piacerebbe che tu mi rubassi tutto. Se entri e rubi tutto, hai ragione di farlo?
No, dice la legge, il furto resta un reato.
Eppure c’è qualcuno che verrebbe a dirmi che sono colpevole un po' anche io, che non ho fatto di tutto per impedire di farmi svaligiare la casa: è il mio assicuratore. Che mi dirà: il tuo comportamento è a rischio, io i danni adesso non te li pago.
Ecco, è questa visione «contrattuale» della giustizia che temo: se sei donna, e non te la sei cercata, allora l’uomo che abusa della sua forza è uno stupratore. Castriamolo.
Ma se invece il tuo comportamento è a rischio, beh, diciamo che è tutto relativo: potrei usare il mio pisello oppure no, come mi viene.
Metti che quella sera ho bevuto.