martedì 17 marzo 2015

Appunti per una recensione che non scriverò


Comincerò con il dire che non sono in grado di recensire il libro di Pietro Roberto Goisis “Costruire l’adolescenza” - neanche se per recensione intendiamo il solito consiglio di lettura. E non perché non lo consiglierei, anzi lo consiglio caldamente, ma perché non ho proprio la competenza per scrivere del cuore di questo libro, che è proprio il suo modo di fare lo psicoanalista con i suoi pazienti adolescenti. Un modo che ha dei padri (Senise, Zapparoli), che intanto così ho potuto conoscere, dei colleghi, dei metodi, dei risultati. Tutte cose che – è chiaro - non so giudicare con cognizione di causa.
Ne scrivo invece per sottolinearne tutti gli altri motivi di interesse.
Per esempio: io non sono abituato a leggere saggistica, e se l’ho finito vuol dire che mi ha proprio preso. E mi ha preso, oltre per i motivi di cui ai punti seguenti, perché è scritto per essere letto anche dai non-psico, il che è molto molto meritevole. Ma non si tratta di un libro ‘divulgativo’, eh! Tutta la parte di teoria l’ho capita a stento. Solo: è il racconto di un’esperienza, quindi di un percorso, che è piuttosto chiaro se – come in questo caso – l’autore riesce a farti apparire chiare le premesse da cui si parte.
Poi: Goisis apre il libro con la citazione (il testo intero, mica tre versi!) di La costruzione di un amore di Ivano Fossati. Detto che è una delle mie preferite di Ivano-Sul-Divano, il tutto è funzionale al senso del volume, che è proprio nel senso della parola “costruzione”, che è già nel titolo, e di cui dirò poi.
E ancora: l’autore dice fin da subito che lui lavora con gli adolescenti perché… perché gli piacciono. Gli piacciono proprio, come succede a me. Non solo perché sono problematici, quindi affascinanti, ma perché sono incasinati, feroci e dolcissimi; sono un microcosmo che si agita, un universo subito dopo il big bang, una lattina di coca agitata nella mente ogni giorno per dieci anni. E il loro sgraziato mal calcolare la vita è pieno di bellissimi errori e di stupefacenti strategie per uscirne. Anche solo per questo meritano tutta l’attenzione.
E poi ancora, sono padre, quindi tutto questo mi riguarderà.
E infine: nel libro ci sono un sacco di storie.
Storie, sì: casi clinici che mi fanno capire – vi faranno capire – di che si parla. E io ai casi clinici mi ci sono appassionato. Alla faccia del transfer e del controtransfer, leggendo il libro io tumultuavo dietro ai ragazzi citati e ai loro problemi. Mi ci sono trasferito dentro, ho abitato in quelle stanze dove il Nostro sedeva e li ascoltava. Invisibile, piccolo piccolo, ho fatto da spettatore.
Da quest’ottica, si capiscono almeno due cose – e finalmente veniamo al perché consiglio il libro: lo psicoanalista si “immedesima” nell’adolescente e costruisce una via di uscita insieme a lui (questo non è che l’ho capito io, eh, c’è scritto fin dalla prefazione), formando una specie di alleanza in cui i ruoli siano ben distinti. Niente surrogati di padre, o amico: niente di più e niente di meno che il terapeuta che ci tiene davvero, a farti risalire la salita, che studia con te, che non ti nasconde niente e che prova anche a farti capire i tuoi genitori (e ai tuoi genitori far capire te).
La cosa, se ci pensate, è bellissima. Cosa odiano di più, in assoluto, gli adolescenti? Che gli adulti ti “tradiscano”, cioè che ti raccontino bugie, anche solo per proteggerti. Degli adulti non ci si può fidare, anche se i tuoi li ami tantissimo. E poi che nessuno li ascolti, o li ascolti con condiscendenza, senza trattarli alla pari. Ed ecco qui la cosa affascinante: qualcuno che istituzionalizza a metodo di cura il credergli, il dargli fiducia, lo sceglierli come alleati e compagni di strada.
La seconda cosa. Dalle mie letture per lavoro già l’avevo più o meno recepito, ma qui è detto più chiaramente: i neuroni specchio, la plasticità neuronale, insomma quella roba lì… il fatto che il cervello di un adolescente sia ancora in formazione. (In costruzione!). Ossia, il casino di cui parlavo prima si riflette nella struttura stessa del cervello. Quindi quando il terapeuta cura la sua mente, cura anche il suo cervello. Le sue cellule. I suoi collegamenti.
Che poi da alcuni anni, se ho capito bene, è questo che sta succedendo, nel mondo della cura della mente.
Ultima ultimissima cosa, in fondo al suo saggio Goisis consiglia un libro, un film e un disco. E li racconta proprio, una specie di appendice al suo personale viaggio della memoria professionale.
Il film che consiglia è Noi siamo infinito, e l’ho visto, e mi è piaciuto tantissimo, per un sacco di motivi che troveranno spazio in un altro post. Diciamo però che è stato un ponte, questo, tra me e quest’oggetto libro. Che ora mi guarda dal comodino, pieno di segnalibri lasciati sui punti che mi va di rileggere.
Rileggere, sì. Proprio io che non leggo saggi.

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