giovedì 14 marzo 2013
Siamo con le pezze al culo e stiamo a discutere il colore della toppa
Voglia di scrivere senza neanche pensarci tanto.
Parlando ieri con Filo di cose che vorremmo fare e cose che dovremmo fare e cose che non possiamo fare, pensavo che ora non sono più in grado di immaginarmi al di là di quest'anno. Pochi mesi, una sacchettata di settimane come quando prendi le noci con la paletta. E non va bene.
Ricordo che l'ultima volta che facevamo piani e progetti era il 2005: doveva ancora nascere il Normannino, avevo un lavoro stabile, facevo opposizione permanente, facevo la spesa al supermercato senza leggere tutti i cartellini delle offerte e guardavo i prezzi delle case. Poi, per quanto ci provassimo e ci proviamo tuttora la Normanna e io, ci è sempre risultato impossibile.
Ora oltre alla mia precarietà - condizione esistenziale e materiale allo stesso tempo: almeno sono coerente - e al fortissimo senso di colpa del non poter provvedere con le mie sole forze a disegnare un progetto per i miei figli, vedo che tutto è egualmente precario: il sistema economico, quello politico, quello istituzionale, perfino quello spirituale. Da lì, una volta, proveniva il buon esempio che i nostri padri usavano come metro delle proprie adempienze e inadempienze.
Ora i buoni esempi sono del tutto scomparsi. Fateci caso: quindici minuti dopo l'elezione del nuovo papa, nome del tutto sorprendente, circolavano già i dossier con i suoi presunti rapporti con Videla. Da giorni girano post che dicono di tutto dei parlamentari M5S appena insediati. Che senso ha. Questo per il nuovo - il vecchio era già così insozzato dalle corruzioni e dall'estenuante triste campagna elettorale, dal cumulo di balle. Siamo veramente sopraffatti, dalle balle, in preda agli effetti del sovradosaggio. Il nuovo diventa sporco e vecchio subito, è una meteora a cui non diamo neanche il tempo di tramontare.
E poi, stringendo un poco la lente: attorno sento e vedo sempre più gente lamentarsi (a volte stucchevolmente) della propria condizione, avanzare lunghe liste di recriminazioni, al Governo o alle banche, a chi non paga le tasse e a chi scrive sui muri, alle multinazionali rapaci e a chi fa cagare il cane sul marciapiede, e capisco che non è solo un vizio comune e diffuso. C'è qualcosa di più.
Una speciale qualità di ringhiosa solitudine che ci impedisce di unirci, affratellarci, lavorare sui noi stessi per limare le asperità della diffidenza. Diffidenza che viene dal fatto di non aver coltivato l'uguaglianza: lui ha di più, quindi pensa diverso, desidera diverso, vive diverso. Ma chi l'ha detto, poi.
Dovremmo reinventarci il rapporto tra vicini di casa. Ricostruire la nostra rete sociale sulla base del tempo che ho a disposizione - tolte le priorità: i bambini, la cena, la casa. Ripensare il mio lavoro: potrei dividere il mio tempo, e anche i miei guadagni, se c'è reciproco vantaggio. Resistere alla tentazione di dare per scontato che tu (tu Governo, tu Europa, tu Chiesa, tu Banca, tu supermercato, tu negoziante, tu ambulante, tu volontario, tu sportellista, tu poliziotto) voglia fottermi.
Però fino a che mi costringi a mettere insieme il pranzo con la cena, finché non ho manco un buon esempio tra le mani, finché non mi entra un po' di verità in questo strabordare di menzogna, dico, non se ne fa niente. Non si va avanti.
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2 commenti:
a me piacciono assai questi tuoi pensieri. e li condivido. anche se, magari, sembra di no (che dici? faccio parte degli individui di cui ti parli? io non so dirlo). baci
tutti facciamo parte di tutto, no?
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