In un Paese normale, in un Mondo normale, uno si sarebbe svegliato preoccupato, la mattina che, dopo Tunisia ed Egitto, anche la Libia si apprestava alla detronizzazione del tiranno.
Perché la guerra non è mai una bella cosa.
E avrebbe appreso, correndo in ciabatte e pigiama all'edicola sottocasa, attraversando la strada piena di macchine ferme e gente a capannelli che parlava della guerra imminente, che le Forze Militari Europee erano in allerta. Ma che il Ministro della Politica Estera Comune aveva già allertato presso l'Onu tutto uno spiegamento di diplomatici che già da mesi seguivano la Crisi Nordafricana e aveva preso già tutta una serie di precauzioni e intrecciato una serie di contatti tra Ribelli e Governativi.
E che l'Italia aveva subito messo a disposizioni gli aeroporti civili per far partire al più presto tutti quei diplomatici, perché, si sa, che l'Italia nel Mediterraneo comanda. Saggia, autorevole, bella e intatta nel suo sapere di duemila anni, immortalato dall'arte.
E allora avrebbe scritto una mail con un telefonino che funzionava attraverso frequenze che funzionavano. La mail era diretta al proprio gruppo di quartiere, che avrebbe aderito all'incontro in Università con esperti di Libia, territorio, guerra e pace (giacchè non si possono sciogliere l'una dall'altra, nell'Utopia) e accoglienza, e tutti insieme avrebbero preso una decisione. Intorno a come fare la propria parte, in una crisi internazionale come quella.
E così per il terremoto e per la centrale nucleare e per la Cecenia, per la Birmania, per la Nuova Zelanda. Per L'Aquila.
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